La peculiarità italiana
Tra le principali cause di questo peculiare andamento si ipotizzano fattori legati al fumo3. In Italia, infatti, negli anni Ottanta e Novanta la quota di fumatrici era maggiore tra le donne con istruzione elevata rispetto alle donne con istruzione bassa4. Studi successivi mostrarono che l’associazione tra alto livello di istruzione e abitudine al fumo tendeva ad affievolirsi nelle generazioni più giovani, man mano che l’abitudine di fumare si diffondeva tra le donne di istruzione bassa5. Studi comparativi internazionali nello stesso periodo rivelarono anche altre peculiarità del caso italiano, dove le disuguaglianze socio-economiche in mortalità tendevano a essere più piccole di quelle registrate nei paesi nordici e dell’Europa continentale. Uno studio alla fine degli anni Novanta mostrava come in Italia, tra gli uomini di età 30-44, il rischio di mortalità tra i lavoratori manuali fosse del 35% più alto di quello dei lavoratori non manuali, mentre in altri paesi tale differenza risultava più marcata: per esempio era del 76% in Finlandia, del 46% in Inghilterra e del 45% in Svizzera6. Riguardo le cause di morte, l’Italia, sorprendentemente, mostrava disuguaglianze socio-economiche molto piccole nella mortalità cardiovascolare, gruppo di cause a cui oggi viene attribuita la maggiore componente della disuguaglianza socio-economica totale in mortalità. Al contrario, l’Italia si caratterizzava per più ampie differenze sociali nella mortalità dovuta ai tumori, con l’ eccezione del tumore al polmone7.
L’interruzione della serie storica
Sfortunatamente, a partire dal censimento del 2001, l’Istat ha smesso di effettuare il linkage tra i dati censuari e quelli dei certificati di morte, così che la più importante fonte di informazione per l’analisi di questo fenomeno a livello nazionale è venuta a mancare. Tutte le successive analisi, dunque, hanno dovuto basarsi su dataset territoriali o settoriali e trovare altri modi per stimare in qualche modo la mortalità per classe sociale in Italia. Da un’analisi dei dati del Work Histories Italian Panel è emerso un significativo differenziale nella speranza di vita a 35 anni secondo la classe occupazionale8. Per esempio, tra gli uomini, se gli imprenditori a 35 anni vivono, in media, altri 46,2 anni (cioè 81,2 anni in totale), la classe operaia non specializzata, invece, vivrà in media solo fino a 78,6 anni, e cioè 2,6 in meno. Differenze esistono anche tra le donne, ma sono meno marcate. Tuttavia, questo tipo di dati soffre di problemi di incompletezza di informazione sulle storie lavorative9. Inoltre i risultati, riferiti solo ai segmenti di popolazione ufficialmente attivi, non si possono generalizzare alla popolazione totale. Altri studi si basano su dati di linkage anonimo tra censimento e anagrafe per popolazioni locali, come ad esempio lo Studio Longitudinale Torinese e lo Studio Longitudinale Toscano. Dato che il record-linkage a livello nazionale è stato interrotto dopo il 1991, la maggior parte degli studi comparativi internazionali sul fenomeno delle disuguaglianze in mortalità da quel momento in poi fa riferimento a questo tipo di fonti per quanto riguarda l’Italia. Per esempio, negli anni Novanta, contrariamente a quello che succedeva nei paesi nordici e in Inghilterra, a Torino la mortalità per cause cardiovascolari diminuiva più velocemente tra le classi occupazionali manuali che tra quelle non manuali10, come mostrato in tabella.
Dando un’occhiata con la lente d’ingrandimento, si scopre che le disparità per classe sociale sembrano essere più marcate nei tassi di mortalità che nell’incidenza effettiva delle malattie cardiovascolari, evidenziando un possibile problema legato alle disparità nell’accesso a cure appropriate e tempestive11, anche se il sistema sanitario italiano offre una copertura che ...[continua]
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