Cari amici,
vivere l’esperienza di una metropoli largamente estesa durante i preparativi dell’Aid Kebir* è stato sorprendente. Mi è sembrato persino strano stupirmi, dopo tante visite in Marocco e tante feste "del sacrificio” qui trascorse. Ma vivere quest’esperienza nel sud, nelle campagne, è direi naturale: gli animali vengono allevati nel loro ambiente, uccisi nell’aia; nulla pare cambiare anche durante una festa così importante, quando ogni padre di famiglia sacrifica un montone o una capretta nel nome di Allah e ricorda così il sacrificio di Abramo, disposto a uccidere il primogenito e fermato in tempo. Si stima che per il 2014 siano stati messi sul mercato sette milioni di montoni; di questi probabilmente almeno cinque milioni e mezzo sono stati sacrificati e sono certo numerosi per un paese di soli quaranta milioni di abitanti: un rapporto di uno a sette!
Casablanca si estende infinita lungo l’oceano Atlantico, bianca e grigia e rossa perché continuamente in costruzione. Quartieri che sono di per sé metropoli si susseguono a sud-est e sud-ovest attorno al centro storico, alla vecchia medina e ai palazzi bianchi e trascurati, tra i quali scorre un traffico frenetico e si rischia di essere investiti, perché ci si perde volentieri a naso in su, alla ricerca delle decorazioni più eleganti o stravaganti di questi involontari monumenti storici art decò. Ma tutt’intorno per chilometri su colline e declivi s’estende l’urbanizzazione frenetica e la città s’allarga ancora. L’unico tram attraversa questo organismo complesso partendo dalla sua estremità più popolare, Sidi Moumen, dove palazzine regolari, a volte quasi lussuose, sostituiscono bidonville micidiali, per arrivare in un’ora e un quarto nelle aree residenziali e di loisir di Ain Diab, sulle più belle spiagge oceaniche della città. Un mondo di contrasti.
Sono stati gli enormi e uniformi quartieri popolari, da Hay Mohammadi a Sidi Bernoussi, a conquistare il mio sguardo questa volta: assembramenti improvvisati con greggi di soli montoni, in sterrati ancora non sfruttati dalla speculazione edilizia, o in magazzini altrimenti ancora vuoti, e intorno tantissimi venditori di fieno per nutrire il montone acquistato da ogni famiglia e tenuto gli ultimi giorni di vita in ogni casa, magari nel vano doccia (usato raramente, tanto c’è l’hammam!). Moltissimo carbone poi, da far ardere il giorno della festa per cuocere le teste dei sacrificati. Più inquietanti gli arrotini, a centinaia lungo le vie, con belle mole di pietra ad affilare coltellacci da macellaio, per ogni devoto musulmano che abbia deciso di compiere lui stesso, nel giorno della grande festa, il sacrificio.
È abnorme questa visione del tutto contingente di una città che urbanisticamente è assolutamente impreparata a vivere normalmente, come le campagne, la grande macellazione comunitaria, in cui senza ipocrisia ci si occupa almeno per una settimana dell’animale ucciso, macellato e cotto per la propria famiglia e per i poveri: si mangia tutto, a partire dal fegato e dalla testa. Le zampe restano esposte fuori dalle porte, dove scorre il sangue.
Parto appena in tempo, ritorno a Torino, dove la festa è stata il 4 ottobre. Il 5 mattina decolla il mio volo e credevo di essere tra i pochi a ritornare il giorno della Festa. Invece l’aereo è zeppo di gente, marocchini più che stranieri. Tutte persone che hanno fatto il biglietto molti mesi prima senza calcolare quando sarebbe stata la Festa; che si sa, in realtà, con una certa precisione ogni anno e si può sbagliare al massimo di un giorno: eppure il calendario islamico, lunare, sembra lunatico ancora per molti marocchini, che ci si perdono e attendono, con la consueta pazienza, o rassegnazione, che gli venga comunicata in maniera ufficiale, tardiva, la data fatidica.
Si fatica ad abituarsi a questo comune atteggiamento di un intero popolo. L’affidarsi, l’accettare il destino giorno per giorno, inshallah, bismillah, lhambdollillah.
Eppure rapisce, prima o poi. Ci si affida, con piacere, e questo fidarsi diventa un nuovo ritmo di vita, lento solo apparentemente, perché intanto la città cresce a dismisura, s’ingrossa di immigrati (e per fortuna tanti erano tornati nei loro villaggi e cittadine distanti per festeggiare, altrimenti cosa sarebbe diventata Casablanca durante l’Aid Kebir?!), va avanti, piena di denaro e di povertà insieme.
A Torino mi manca un po’ la sua sporcizia, i suoi mercati improvvisati, i rumori di traffico, lo smog no certamente, ma il viavai assurdo e la crescita sociale smisurata. C’è vita, Casablanca è una metropoli spaventosamente vitale.
Emanuele Maspoli
* Aid A-Adha, Festa del Sacrificio, forse la più importante festività islamica, viene festeggiata due mesi e dieci-undici giorni dopo la fine del Ramadan e la festa conclusiva del mese di digiuno rituale, Aid Al-Fitr.
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