Nedda Papi, psicoterapeuta psicoanalitica, responsabile del Progetto "La Casa dei Piccoli” di Ravenna.

Com’è nata la "Casa dei piccoli”?
Mi sono laureata in pedagogia, con una tesi in psicologia. E il mio primo lavoro è stato proprio quello che allora si chiamava "monitori”, una sorta di guida formativa alle insegnanti dei primi asili nido. Purtroppo era un qualcosa di molto politico, per cui si parlava di socializzazione dei bambini piccoli e cose così. Io e altre mie colleghe abbiamo cercato, erano gli anni Settanta, di chiedere aiuto agli psicologi, ma allora non c’era molta cultura riguardo i bambini molto piccoli, la relazione mamma-bambino nei primi tre anni di vita non era molto conosciuta e studiata. Poi ho lavorato in colonia, facendo la coordinatrice, in seguito ho vinto un concorso come psicologa sempre grazie alla mia tesi. A quel punto mi sono iscritta a Padova in psicologia e lì ho conseguito la seconda laurea. Dopodiché, però, lavorando nella medicina scolastica, mi accorgevo che le bidelle erano più capaci di me nel sostenere e consigliare le maestre, per cui ho cercato disperatamente un posto dove formarmi.
Fortunatamente a Ravenna c’era l’idea che quelli che venivano da fuori erano più intelligenti e avevano preso delle colleghe di Bologna che conoscevano un posto a Milano che si chiamava, e si chiama, Centro Studi di Via Ariosto, dove una coppia di psicoanalisti molto bravi e famosi, Joseph Sandler e sua moglie Anne Marie (lui è stato anche presidente della Società internazionale di psicoanalisi, hanno scritto molti libri e hanno contatti con l’Anna Freud Centre) insegnavano a capire cosa succede nella relazione fra il bambino e gli adulti nei primi anni di vita. Così ho frequentato lì la scuola di psicoterapia e poi, per trent’anni, ho continuato ad apprendere, partecipando a corsi di mantenimento, seminari, incontri, con un gruppo di colleghi da tutta Italia. A un certo punto, dopo tanti anni che ci vedevamo, abbiamo deciso che eravamo abbastanza grandi per poter fare una scuola anche noi e quindi in dodici abbiamo formato un’associazione che si chiama Associazione per lo sviluppo della psicoterapia psiconalitica, e tra questi dodici c’era anche mio marito, che lavorava già al Centro Studi di Via Ariosto. Con lui ci siamo trasferiti a Ravenna.
La scuola per chi è pensata?
Propone una formazione quadriennale per medici e psicologi che vogliono avere il titolo di psicoterapeuta. Quando mi sono laureata io non c’era nessuna regolamentazione per essere psicoterapeuta, ti formavi sul campo; tutti quelli che erano stati assunti dagli enti pubblici locali e avevano lavorato per più di dieci anni o giù di lì venivano dichiarati psicoterapeuti. Successivamente il ministero ha regolamentato la formazione di psicoterapeuta che può avere vari indirizzi, psicoanalitico, sistemico, psicocognitivo, e da qui l’esigenza di una scuola.
Nel programma didattico abbiamo inserito l’attività di "osservazione infantile”, fondamentale nelle formazioni psicoanalitiche, che consiste nell’osservazione delle mamme coi loro bambini. Dal punto di vista pratico ogni allievo si mette d’accordo con la mamma di un bambino molto piccolo, se possibile di poche settimane, per andare una volta alla settimana a casa sua per un’ora a osservare cosa succede fra loro, come si sviluppa il bambino, come evolve la loro relazione. Io a Milano avevo fatto a mia volta questa trafila, un’esperienza bellissima per me. Avendo cominciato a lavorare professionalmente molto presto, a 23 anni, e dovendo formare, dare risposte, comprensione, eccetera, ero sottoposta a molte pressioni, interne ed esterne; mentre quando andavo a casa della mamma non dovevo dire niente, nessuno mi chiedeva niente, dovevo solo stare lì, osservare e cercare di comprendere. Per me era stata un’esperienza così utile che molto volentieri ho dato ampio spazio dell’attività didattica presso la nostra scuola alla conduzione settimanale di gruppi clinico-teorici di discussione dei protocolli di osservazione degli allievi.
Ipotizzare cosa passa per la mente del bambino partendo dal suo comportamento e dalle reazioni emotive che suscita nell’osservatore, vedere come la mamma interpreta i suoi segnali, ipotizzare aspetti conflittuali nella mamma a partire da come si rivolge al bambino, comprendere in che modo questo influenza la relazione con la mamma apre un mondo di esplorazione molto vasto. Per esempio, un bambino molto vivace, "responsivo”, ...[continua]

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