Oggi com’è possibile rimettere in piedi una cultura del restauro?
Il restauro esiste da sempre, pure nei secoli passati si è restaurato e magari oggi ci accorgiamo che si è restaurato male; speriamo che nei prossimi secoli non dicano che anche noi abbiamo fatto male. L’idea del restauro è insita nel significato biologico della vita: si vive, si deve far manutenzione o restaurare, è normalissimo. Io alla parola "restauro" preferisco "manutenzione". Quando la manutenzione è eccezionale la chiameremo straordinaria, quando è normale, e bisogna farla tutti gli anni, è ordinaria. E’ una parola che dice di più, che contiene l’altra e rende meglio l’idea di una nuova cultura, da diffondere ovunque, che riguarda il vecchio e il nuovo, il piccolo e il grande, il famoso e l’importante l’anonimo e l’umile. Noi, per esempio, intervenendo in restauri di chiese o di palazzi antichi, lavoriamo molto nei sottotetti, per restaurare o sostituire le capriate lignee, e obblighiamo la committenza a realizzare dei pertugi, dei passaggi comodi, delle illuminazioni sufficienti, affinché una persona che abbia un minimo di competenza, casomai una volta l’anno, possa dare uno sguardo, in modo che, se c’è da intervenire, possa intervenire subito, con quattro soldi.
Noi sosteniamo che la cosa decisiva non è il restauro miliardario, fatto ogni cinquant’anni, quello serve a poco, ma sono le tante piccole spese di manutenzione. Non ci vuol molto a capirlo: ognuno in casa propria sa cosa significhi manutenzione ordinaria, sa, anche se tende a dimenticarlo, che nel proprio budget personale questa è una voce di spesa inevitabile. Trovo pericoloso identificare il problema del restauro nell’immagine della ragazzetta col camice bianco che sta col pennellino sull’affresco famoso in tutto il mondo. Trovo pericoloso che proprio in Italia, che è la culla del restauro, prevalga questa idea elitaria del restauro costosissimo che riguarda l’Ultima cena di Leonardo o la villa settecentesca che qualche privato ama organizzarsi. Così rischiamo di dimenticare quello che abbiamo sotto gli occhi quotidianamente. In tutta Italia basta entrare nei vecchi borghi, tuttora vivibili, e guardare i portali delle case, le finestre, l’organizzazione delle case: sono delle autentiche opere d’arte, di fronte alle quali il restauratore serio si emoziona e s’intimidisce come di fronte all’opera di un insigne scultore, perché la materia è la stessa e la tratterà alla stessa maniera.
Insomma, il restauro a cui penso è frutto di una cultura di vita, alla portata di tutti, di una cultura che ridà dignità soprattutto alla manodopera. E’ già stato detto: l’uomo del terzo millennio potrebbe essere un restauratore, un manutentore, un lavoratore che sa coniugare abilità manuale e non indifferenti capacità intellettive. Il problema di oggi è cominciare a far diventare normale questa cultura: il prete che deve intervenire su piccoli elementi di manutenzione deve poter contare su una manodopera diffusa nel territorio. Tutto questo non va certo nella direzione indicata dalla cultura industrialista, standardizzata, generalista, che tende a uniformare le risposte, ma, nello stesso tempo, ha ben poco a che vedere con una logica da museo di arti contadine, per intenderci, tipica di quella nostra mania, abbastanza stucchevole, di trasformare il nostro territorio in un museo. Io credo che il recupero, il restauro, la ristrutturazione devono mirare al riutilizzo pieno di spazi abitativi, culturali, vivi, e non a mettere in bella mostra dei sarcofaghi. Ciò non toglie che il museo ci sarà sempre, ma non possiamo trasformare l’Italia in un museo! Inutile aggiungere che quello che sto tentando di dire non c’entra nulla con sovrintendenze e ministeri dei Beni Culturali.
Se si diffondesse questa cultura della manutenzione, i vantaggi, anche dal punto di vista del mercato del lavoro, sarebbero evidenti: non solo un aumento dell’occupazione, ma, soprattutto, la diffusione di un lavoro che, esigendo riflessione e studio, darebbe nuova dignità al lavoro di muratore. Perché è pur vero che il vecchio mastro muratore ha tanta esperienza, ma, a essere sinceri, dobbiamo dire che è anche un grande ignorante. Allora, non ci si può illudere più di tanto che le vecchie maestranze possano riciclarsi verso una professionalità che abbia anch ...[continua]
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