Cominciamo dal luogo dove operate, il rione Lotto O di Ponticelli...
Già, questa è una cosa strana, perché il nome è Lotto 0, lettera dell’alfabeto, invece tutti gli abitanti lo hanno definito Lotto zero, e anche noi oggi lo chiamiamo così. E’ significativo perché lo zero è il vuoto... Secondo me è significativo in due sensi: innanzitutto perché le persone che abitano qui sono state sradicate dai quartieri del centro di Napoli, il vuoto quindi indica il distacco dalla loro cultura: c’è questo vuoto di fondo; poi c’è un vuoto che riguarda l’organizzazione sociale, perché si sentono abbandonati, hanno un solo mezzo di trasporto, dicono di non avere servizi, anche se, a guardar bene, c’è la scuola elementare e la scuola media, il pronto soccorso, c’è il nostro servizio, che funziona anche da punto di riferimento per informazioni, quindi tutto sommato non è proprio così vuoto. Però loro lo percepiscono così, il posto è brutto e loro vorrebbero andar via, tornare al proprio luogo di origine. Noi siamo venuti qui cinque anni fa, quasi contemporaneamente ad alcune famiglie che hanno occupato, e i primi tempi c’era una grande litigiosità, assistevamo a baraonde terribili, adesso si sono assestati, hanno trovato un loro modo di stare.
Qual è il vostro bacino di utenza, è molto più vasto del Lotto O?
Sono i tre quartieri San Giovanni, Barra e Ponticelli, centomila persone circa. Attualmente abbiamo 1650 cartelle; ogni giorno vengono 185 persone a prendere il metadone alla mattina, una ventina vengono a fare le analisi tossicologiche, un’altra ventina per i colloqui psicologici; poi il lunedì pomeriggio vengono i cosiddetti “prefetturati”, cioè quelli che sono stati fermati per strada e inviati a noi dalla prefettura, e il giovedì pomeriggio c’è lo screening per Hiv ed epatite in anonimato: in conclusione ogni giorno transitano da qui 205-210 persone.
Voi operatori quanti siete?
Siamo 16 per un turno di 12 ore, cioè dalle 8 alle 20. Siamo pochi.
Secondo te, allo stato attuale, qual è il settore di attività più scoperto?
L’area che sicuramente andrebbe incrementata è quella della riabilitazione, perché il trattamento di cura bene o male viene assicurato; per la prevenzione andiamo nelle scuole -certo, se fossimo di più copriremmo più scuole-, mentre il momento della riabilitazione, in cui potremmo tenerli qui a fare delle attività, oppure muoverci sul territorio, trovare un inserimento con la carta lavoro... è quello più trascurato, soprattutto se il lavoro di routine assorbe tutte le energie.
I tossicodipendenti resterebbero volentieri con voi?
Alcuni si tratterrebbero qua per sempre. Anche quelli che continuano a fare uso di eroina, qui trovano un posto dove essere ascoltati, dove le persone non hanno paura, non scappano; possono stare qui, fare quattro chiacchiere, prendere il caffè, e questo sia che siano fatti, sia che siano sobri. Il pericolo è che si crei una vera e propria forma di dipendenza. Un autore ha parlato di “istituzione madre”, tipo la madre-ambiente di Winnicot, perché il tossicodipendente diventa dipendente non tanto dalle persone, ma proprio dall’istituzione, da cui sembra quasi volersi far adottare. Il tossicodipendente non regge il rapporto a due, perché questo richiede di riconoscere l’altro, di modulare il proprio bisogno su quello dell’altro, e proprio qui emerge il malessere, loro vorrebbero un rapporto totalitario, simbiotico...
Ma questo farsi adottare dall’istituzione può essere un primo passo per uscire dalla droga?
Senz’altro, perché permette di avere di nuovo fiducia in un altro che è generico, quindi di stabilire un rapporto aleatorio più semplice da reggere; questo implica che l’istituzione sia in grado di contenerli, proprio fisicamente, permettendo loro di stare qua. Se questa risposta è sufficientemente buona, può essere un primo passo verso relazioni più evolute, ad esempio con due o tre operatori, poi con uno...
Il colloquio psicologico come sostegno, molto disimpegnato, lo possono anche reggere, anche se alcuni scappano, oppure lo usano esclusivamente per avere il metadone. Per arrivare al colloquio a due, bisogna prima passare per una situazione intermedia, e solo dopo che si sono allontanati da eroina, metadone e farmaci, si può parlare di una relazione di tipo psicoterapico. Questo senza nulla togliere ai passaggi intermedi: secondo me non è vero ...[continua]
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