Andrea Vecchia, consulente sui progetti di sviluppo della pubblica amministrazione e del privato sociale, vive a Roma. Ha pubblicato Nuovo Auspicio. Storia di una cooperativa edilizia autogestita, Altrementi, 2012.

Negli anni Settanta a Roma, una grossa cooperativa edilizia impegnata nella costruzione di centinaia di appartamenti fallì, lasciando nella disperazione tante famiglie. Puoi raccontare?
Si chiamava "cooperativa Auspicio” e a metà degli anni Settanta aveva iniziato a reclutare soci e a svolgere i lavori nei primi lotti sui Colli dell’Aniene. Non passò però molto tempo prima che iniziasse a sorgere qualche sospetto. Le ispezioni del ministero del Lavoro arrivarono di lì a poco, nel 1976, rilevando irregolarità, in particolare nella stesura del bilancio. I soci, intanto, da un lato venivano chiamati ad aumentare le loro quote perché i soldi non bastavano, dall’altro non vedevano proseguire i lavori.
Nel 1978 vennero comunque consegnati i primi alloggi, che però furono anche gli ultimi.
La cooperativa infatti era sempre più in difficoltà, anche perché diversi soci, preoccupati dalle voci che giravano, avevano smesso di versare le loro quote. Le coperture politiche "bianche” aiutarono a ritardare l’inevitabile, ma nel ’78 arrivò l’annunciata ispezione straordinaria. Nell’80 venne dichiarato fallimento e arrestato il presidente. Per i soci fu una tragedia.
Ci vollero mesi per capire l’entità della truffa e per scoprire che erano state vendute proprietà della cooperativa per fare cassa. Addirittura, appena prima del commissariamento, venne ceduto il IV° lotto dove dovevano nascere un centinaio di appartamenti.
Chi erano i soci?
Non stiamo parlando di proletari, ma di tassisti, impiegati pubblici di basso livello, insomma, di un ceto medio-basso; penso che la quasi totalità di loro avesse dato tutti i risparmi che aveva per farsi la casa; alcuni si erano appena sposati, altri si stavano sposando; ci furono coppie con figli che vissero per un po’ di tempo separatamente, ciascuno con i propri genitori; tutti avevano fatto grandi sacrifici per poter versare le loro quote. Oltre alla disperazione, puoi immaginare anche la rabbia. Fortunatamente un gruppo si mobilitò subito per organizzarli; parliamo di milleduecento persone! Le quattro o cinque manifestazioni che fecero, un paio al ministero dell’industria, furono imponenti e ci fu un corteo di taxi per il centro di Roma che bloccò tutto. Negli archivi dell’Unità ho trovato le foto. Fecero anche l’ultima manifestazione con sciopero della fame a Piazza del Quirinale, dove da allora non fu più consentito fare manifestazioni pubbliche.
Consideriamo poi che ci fu una fase in cui i soci dovettero ricostruire tutti i conti della cooperativa, perché i vecchi amministratori erano scappati portandosi via la documentazione necessaria per risalire a tutte le fasi.
Oltre alla rabbia, scattò anche un senso di vergogna.
Sì, perché quando tirarono fuori le carte, i soci videro quella loro firma sotto un foglio che prometteva una casa e che allora non valeva più niente.
C’è poi tutta la vicenda del fallimento...
Ora, non entro nei dettagli perché i fallimenti delle cooperative prevedono varie procedure, una al ministero e una in tribunale. Ciò che qui mi sembra importante sottolineare è che si riuscì a convincere un giudice illuminato ad applicare per la prima volta la legge Prodi, cioè quella dei fallimenti delle grandi imprese in crisi, alle cooperative. La legge Prodi prevedeva che, quando una grande impresa andava in crisi, il pubblico, lo stato, si impegnava a salvaguardare il patrimonio aziendale dalla vendita al miglior offerente e quindi dalla dispersione e dallo spezzatino. Questa legge si applicò, per la prima volta, a una cooperativa, superando anche una sorta di resistenza da parte del mondo cooperativo, perché nelle procedure ministeriali di fallimento delle cooperative venivano coinvolte le centrali cooperative. Infatti, si ebbero delle contestazioni.
Comunque grazie a questa legge e a un emendamento a una legge finanziaria che previde l’attribuzione agli stessi soci della continuità aziendale, cioè dell’azienda fallita, subentrando nella compagine sociale, si aprì una strada per queste famiglie.
Quindi gli stessi soci rilevarono la cooperativa...
Sì, furono costituite due cooperative: una fatta dai futuri inquilini dei palazzi in uno stato di costruzione avanzata, e l’altra con quelli dei palazzi più indietro nella realizzazione ...[continua]

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