Lawrence Davidson insegna Storia mediorientale alla West Chester University (Pennsylvania) e collabora con Logos (logosjournal.com).

Come si spiega questa ribellione nel mondo arabo? Era prevedibile?
è sempre difficile fare previsioni. Quello che possiamo fare è usare la storia per speculare in quali condizioni aumentano le possibilità che questi eventi accadano. Quindi, assumendo una prospettiva storica possiamo dire che ci sono alcune condizioni che generalmente portato a questo risultato. Possiamo partire da una condizione economica di privazione e povertà: ma, queste da sole, non bastano. Voglio dire che ci sono popolazioni che, in situazioni critiche, non si sono ribellate; per fatalismo ad esempio. Il secondo fattore è la corruzione: In Tunisia e Egitto, per esempio, questo è un problema serio che nel tempo ha creato frustrazione nella popolazione, aumentando le probabilità di una sollevazione. Il terzo punto è la repressione e la conseguente condizione di una popolazione che vive nella paura. Ora, se prendi questi tre elementi, è evidente che, benché siano spesso necessari, in questo caso non erano stati sufficienti. Ad esempio, Ben Ali era al potere in Tunisia da ventidue anni, Mubarak da trenta. Perché adesso? Qual è stato l’innesco, il fattore scatenante?
Nella maggior parte di questi Paesi la popolazione da tempo viveva in una condizione di passività, era ripiegata su stessa, sulla propria quotidianità. C’era anche il problema di una paura diffusa, che non va sottovalutato.
Poi a un certo punto succede qualcosa, un incidente... In Tunisia abbiamo avuto questo giovane, Mohamed Bouaziz, a cui sono stati tolti i mezzi di sussistenza: una poliziotta gli ha portato via il banchetto e lui, preso dalla disperazione, è uscito sulla pubblica piazza e si è dato fuoco. Si tratta di un episodio tremendo che ha fatto dire ad alcuni, pochi: "No, questo è troppo”. Così qualcuno è sceso in piazza a manifestare. Il Governo -o meglio il regime- non sapeva cosa fare. è rimasto sorpreso e così, altra gente, rassicurata dal fatto che questi primi "ribelli” fossero sopravvissuti alla loro azione dimostrativa, si sono aggiunti alla protesta anche in altre località. A quel punto il regime si è trovato di fronte a una scelta. Apro una parentesi: non credo sia corretto usare il termine "governo” per queste realtà, che sono più propriamente "dittature”. Chiunque con una pistola e il controllo delle forze armate può guidare un Paese, ma non parlerei in questi casi di "governi”.
Ma torniamo alla scelta: cosa poteva fare il regime? Poteva sparare sui manifestanti -quindi repressione feroce- negoziare oppure tentare di cooptarli. Visto il numero di soggetti in gioco, erano in ballo molte variabili. Esercito e polizia avrebbero obbedito agli ordini? Ad esempio in Tunisia l’esercito ha detto: "Non spareremo a questa gente”. A quel punto la posizione in cui molti si erano adagiati è cambiata: la passività ha lasciato il posto alla rabbia. La paura è scomparsa e all’improvviso la frustrazione accumulata in due decenni ha spinto migliaia e migliaia di persone sulle strade. E il regime ha iniziato a perdere il controllo. In una situazione di questo tipo le opzioni possibili sono molte: una è che, vista la mancanza di organizzazione e di leadership tra i manifestanti, le cose possono finire in fretta (ed è quello che succede la maggior parte delle volte); ma se c’è organizzazione allora puoi avere una situazione come quella egiziana e puoi forzare il regime a trovare un compromesso. Resta la questione: quale compromesso? Se l’organizzazione e la leadership non sono all’altezza può succedere che si cacci il Ben Ali di turno e ne arrivi un altro. Cambia la faccia ma il resto non cambia. è quello che è quasi successo in Egitto, quando Mubarak ha fatto un passo indietro e si è presentato in primo piano Sulemain. Ma poi la leadership in Egitto, quella dei giovani e dei Fratelli Musulmani, si è ribellata.
Gli scenari possibili sono sempre molti e fare previsioni, ripeto, è pressoché impossibile.
Nel caso del Maghreb non abbiamo visto antiamericanismo, come ci si sarebbe potuti aspettare con quanto sta succedendo in Iraq e Afghanistan.
Potenzialmente l’antiamericanismo è presente. Mi ricordo che nei primi giorni delle rivolte egiziane si sono viste le immagini di un giovane di fronte a una telecamera con una bomboletta lacrimogena con scritto "Made in Usa”. Mi chiedo: ma perché una ditta americana deve met ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!