Una Città233 / 2016
Settembre


«...il problema della Regione diventò vivo, vivissimo, e fu agitato subito dopo l’avvento del fascismo: allora si capì veramente che cosa poteva rappresentare per la libertà nella vita politica di uno Stato un ordinamento a base regionale... e cosa rappresenti cioè Roma nella politica italiana. Roma, la capitale dello Stato, la capitale in cui sono concentrati tutti gli uffici e tutti i poteri e dove bastò che Mussolini arrivasse con le sue camicie nere. C’è stata la marcia su Roma, onorevoli colleghi, non su Palermo o su Napoli o su altre città, nelle quali non avrebbe avuto conseguenze politiche.
La marcia su Roma invece, sì, poteva averle e le ebbe, appunto perché, quando c’è l’accentramento statale come c’era
e c’è in Italia, è molto facile mettere la mano sulle leve di comando e assoggettare tutto il Paese. è un vecchio avvertimento della democrazia ed è una vecchia esperienza. Quando in un solo punto stanno concentrati tutti i poteri e tutte le forze è assai facile -e lo avvertì un giorno Cattaneo- a chi riesce a mettere le mani sul potere stabilire la dittatura».
Oliviero Zuccarini, Discorso all’Assemblea Costituente, 6 giugno 1947

settembre 2016

La democrazia apatica
Sul referendum costituzionale
Intervista a Nadia Urbinati

Il feticismo del complotto
Di Stephen Eric Bronner

A nome collettivo
La storia di una piccola imprenditrice
Intervista a Serenella Antoniazzi

Tre!? Ma che, sei matta?
Sull’esperienza dell’adozione
Intervista a Francesca Sforza

La mobilità Sud-Nord
Di Roberto Impicciatore
e Salvatore Strozza

Il blog dei bambini
Una buona pratica in una scuola padovana
Intervista a Roberta Scalone
e Fabio Rocco

Il ragno
Di Francesco Ciafaloni

Quanto costa la giustizia del lavoro?
Di Massimo Tirelli

Non cominciare, è saggezza suprema
Gandhi e Tolstoj
Intervista a Gianni Sofri

Il codice dell’uguaglianza
Sulla Primavera araba tunisina
Intervista a Bochra Belhaj Hmida

Il valore della democrazia
Sull’ideale democratico
Intervista a Marina Lalatta Costerbosa

Novecento poetico italiano/13
La poesia di Eugenio Montale
Di Alfonso Berardinelli

Il progetto scuola-carcere
Di Giovanni Zito

Lettera dalla Cina. Propaganda
Di Ilaria Maria Sala

Lettera dall’Inghilterra. La nostalgia
Di Belona Greenwood

Lettera dal Marocco. La festa del sacrificio
Di Emanuele Maspoli

Appunti di un mese

Discussione sul Titolo V
Di Luigi Einaudi, 1947

Ricordiamo Srebrenica
Foto e testo di Andrea Rizza Goldstein


La copertina è dedicata alle vittime del web, dove capita sempre più spesso che, passando la voce, come gli avvinazzati di un tempo che gridavano "alla prigione, alla prigione”, ci si raduni per linciare qualcuno. Speriamo che almeno il risveglio, la mattina dopo, sia orribile.

Nadia Urbinati ci racconta come l’idea di una "Seconda repubblica”, centrata sull’esecutivo e non sul parlamento, nata in odio ai partiti, alla famosa "partitocrazia”, nel 1958, alla caduta del monocolore democristiano e al concomitante avvento in Francia del presidenzialismo gollista, diventerà realtà con quella che più che una revisione, come comanderebbe l’art. 138, è una vera e propria riscrittura della Costituzione; avremo un senato anche un po’ assurdo, di senatori nominati, incriminabili in regione e immuni a Roma, che potranno ritardare i lavori della Camera, cambiare la Costituzione, ma, guarda caso, non toccare il governo; quel che si vuole, al fondo, è un esecutivo più forte, a un passo dal presidenzialismo, ma con contrappesi istituzionali ed extraistituzionali molto deboli cosicché il rischio di delegittimazione delle istituzioni, risucchiate dalle parti grazie al combinato con una legge elettorale fortemente maggioritaria, diventerà gravissimo...

"Un paio di giorni fa, un amico mi ha informato con tranquillità che il nostro presidente ‘musulmano’ è a capo di un intrigo controllato dalla ‘treasury reserve’ che stava manipolando le elezioni fornendo alla Russia tecniche di hacking tese a distruggere il nostro paese. Il mio amico è un sostenitore di Donald Trump, i cui critici, ritiene, sono parte del complotto”... È l’inizio di un intervento, dall’America, dell’amico Bronner. Ci meravigliamo? No, il complottismo, a destra e a sinistra, dilaga. 

Una piccola azienda familiare travolta, nella crisi, dal monocliente fraudolento che continua a dare commesse ma non paga, postdata assegni che alla fine risulteranno scoperti; la stretta a quel punto implacabile di banche e Inps che non fanno alcuna differenza fra il ladro e il derubato e l’ombra del fallimento, considerato ancora un disonore, che si allunga; l’idea di farla finita, che è spesso, nelle società a nome collettivo, l’estremo tentativo di salvare la famiglia, ma poi la collaborazione preziosa dei dipendenti, una lettera ai giornali, l’aiuto inaspettato di sconosciuti, infine un sottosegretario sensibile e un Fondo statale che porterà il suo nome: Serenella.

Quando Gandhi scrisse a Tolstoj, che riconosceva come uno dei suoi maestri insieme a Thoreau, Ruskin e Raychandbhai, un gioielliere di Bombay, giainista; la domanda se Gandhi sia diventato indiano a Londra; i tantissimi libri che lesse in carcere e di cui teneva l’elenco; la sua idea della nonviolenza, il suo ecologismo ante litteram, ma anche il suo pragmatismo politico; la complessità spesso non raccontata dell’India, oggi governata dai discendenti di chi uccise Gandhi; a raccontare è Gianni Sofri, che riafferma l’importanza dell’insegnamento di Gandhi per i valori universali che impersona, il che non significa prenderlo alla lettera quando si tratta di fermare un Hitler o, oggi, i persecutori islamisti.

Che in Tunisia, che già aveva uno dei codici della famiglia più civili del mondo mussulmano, sia caduta anche la definizione di "complementarietà” della donna all’uomo e che le associazioni volontarie, militanti, femministe della società tunisina siano passate da una decina a diverse centinaia, sono quelle notizie che ci fanno pensare che le primavere arabe non sono state affatto un disastro; Bochra Belhaj Hmida, però, ci dice anche delle difficoltà economiche e della crisi del turismo per via degli attentati e vien da pensare che la miopia dell’Occidente è veramente micidiale: la Tunisia non meritava un vero e proprio piano Marshall?