Cari amici,
la pioggia non dovrebbe sorprenderci, in un autunno italiano così piovoso e dopo un’estate altrettanto umida. Ma le piogge torrenziali nel deserto stupiscono davvero: quest’anno il Marocco ha visto arrivare nelle aride regioni del sud tanta acqua come non si vedeva da anni. Purtroppo, in terre poco avvezze a esser bagnate, l’acqua che giunge da piogge improvvise e abbondanti fa parecchi danni e in questi giorni di fine novembre anche tante vittime. Così era stato già a settembre e ne fui testimone diretto, vivendo in prima persona la trasformazione di un ambiente generalmente arso dal sole, dai colori minerali brillanti: in quei giorni invece bagnato, fradicio, grondante da ogni dove, con cascate bellissime e minacciose ovunque, sotto un’incessante pioggia. La gente, sbalordita, pochi sotto l’ombrello, i più stoicamente impregnati di pioggia per certi versi piacevole, perché essa interrompe la siccità e lava via la polvere, in massa stava a osservare lo scorrere impetuoso dell’acqua nei solitamente scarsi oued, il traffico impazzito, le strade interrotte e i ponti e i guadi inagibili o distrutti. Qualcosa di apocalittico, quando la baraka di Dio arriva un po’ troppo violentemente.
L’acqua è davvero preziosa. La desertificazione è la vera minaccia: leggeri steccati di rami di palma tentano invano di fermare l’avanzare delle sabbie. Terreni desolati, alberi secchi... M’impressionai molto quando vidi per la prima volta larghe estensioni di arganie completamente secche lungo la costa Altantica, una delle zone meno asciutte di questo deserto marocchino. Pensai allora a un danno enorme per la già scarsa economia locale. L’argania è una pianta meravigliosa: unica e preziosa. Spinosa e tenace, è pure elegante, bei fusti contorti che formano alberi somiglianti ai nostri ulivi e carrubi del sud. Di un verde intenso, essa produce d’estate una noce da cui si ricava il famoso olio dalle qualità organolettiche eccezionali, venduto per uso cosmetico o alimentare a carissimo prezzo nelle nostre erboristerie e farmacie.
Per questo è un albero protetto e serve alla causa dell’emancipazione femminile in aree rurali dove altrimenti la miseria spadroneggia.
Essaouira, la regina dei venti, è un po’ la città dell’argania, ma già a sud di Agadir o lungo le pendici occidentali dell’Alto Atlante, fino alle spalle di Essaouira, o ancor più su nella regione di Rabat, vaste foreste di arganie aiutano l’economia locale e la formazione di nuove cooperative, in gran parte femminili.
Le statistiche sostengono che in Marocco stiano fiorendo cooperative soprattutto in campo agricolo.
Secondo l’Ufficio dello sviluppo della cooperazione: "Il ritmo nel 2013 è in media dell’istituzione di 117 cooperative al mese. È il risultato di due campagne di sensibilizzazione e di diffusione tra migliaia di piccoli produttori, artigiani, giovani diplomati e di tutti gli sforzi congiunti degli operatori nel quadro del programma dello Stato”. Il numero delle cooperative sembra aumentare dunque costantemente, con un’impennata negli ultimi anni, e in questa crescita la parte del leone la fa l’agricoltura. La cooperazione porta a una migliore distribuzione del reddito e a un discreto numero di posti di lavoro: per le donne diventa anche occasione di emancipazione. Lo dimostrano le numerose cooperative per la produzione d’olio di argania. Ne ho conosciute molte in questi ultimi anni, ma voglio parlarvi di quella che mi piace maggiormente: le donne di ‘Tamounte’ a Imin-Tlit e la loro leader Taarabit Rachmain (http://www.tamounte-imintlit.com/). A cinquanta chilometri a sud di Essaouira, in una vallata rigogliosa non distante dalla costa, queste donne tenaci, sostenute da Unione Europea e WWF, nel 2003 riuscirono a dar vita alla cooperativa. "All’epoca l’ignoranza e l’analfabetismo tra le donne raggiungevano il 98% e tra gli uomini la situazione non era tanto migliore”, racconta Taarabit. "Fu questa la difficoltà maggiore che io e le poche donne scolarizzate del villaggio dovemmo affrontare. Fummo additate come coloro che andavano contro la tradizione. Fu necessario molto coraggio e sostegno esterno, perché ci stavamo impegnando in qualcosa che veniva addirittura considerato illecito nella nostra società patriarcale”.
Queste donne sono capaci di stupire, come l’albero da cui ricevono sostentamento.
Esso reagisce alla siccità con una morte solo apparente, per cui intere foreste d’arganie seccate durante periodi aridi, rifioriscono e verdeggiano al sole già pochi mesi dopo. Così le donne di Tamounte hanno saputo resistere e superare l’ostilità e le difficoltà diventando una realtà forte e riconosciuta dell’economia locale. Tanto che molti uomini ora bussano alla porta della cooperativa per chiedere che vi venga inserita la propria moglie. La precedenza viene però sempre data alle donne più bisognose, vedove e sole.
A occhi esterni il lavoro appare assurdamente faticoso: una volta pulite meccanicamente dal mallo, le noci vengono rotte a mano con un sasso, una a una, dalle abili mani delle donne. Le amarissime piccole mandorle bianche che se ne estraggono vengono selezionate, e tostate solo in caso d’olio alimentare. Da 35 chili di noci grezze, se ne estraggono due di mandorle; spremendole meccanicamente (a mano solo per i palati tradizionalisti) se ne ottiene un litro di olio purissimo.
Ogni cooperante, per quanto s’impegni, non può produrre più d’un chilo di mandorle al giorno. Si tratta di un processo che potrebbe essere meccanizzato ulteriormente, ma che in questo modo permette a ogni donna della cooperativa di raggiungere un reddito di circa quattro euro, minimo, ma tale da farla diventare comunque un perno dell’economia locale ed emanciparla.
Emanuele Maspoli