Un intervento contro le tesi espresse da Ephraim Kleiman nel numero scorso di Una Città.
Abbiamo letto, su Una Città di agosto-settembre, n. 131, un articolo-intervista a Ephraim Kleiman, professore emerito di economia all’Università Ebraica di Gerusalemme. Il titolo, “I due elettricisti” si riferisce ad un insignificante episodio raccontato dal Kleiman: che due fratelli palestinesi, elettricisti, hanno scritto il manifesto della prima Intifada. Erano attivisti di sinistra, quindi “avevano una coscienza politica; beh,” commenta il professore, ”che due elettricisti potessero scrivere il manifesto di un movimento politico vent’anni prima sarebbe stato addirittura inconcepibile.” Il professore non spiega il perché, ma dal contesto di tutto il suo discorso successivo si deduce che pensa che Israele e l’occupazione abbiano fatto un gran bene ai palestinesi, dal punto di vista culturale (vedi i due elettricisti che ora sanno scrivere un manifesto politico) e… economico, sì, economico. Il Kleiman dice, serio serio, che i palestinesi, ed in particolare la popolazione di Gaza, non sono mai stati così ricchi come sotto occupazione israeliana. Potevano andare a lavorare in Israele (nel 2000 costituivano il 7% della manodopera israeliana), dove l’economia andava a gonfie vele, e vendere i loro (poveri) prodotti in Israele tramite i generosi commercianti israeliani. Il Kleiman a questo proposito cita Aoun A-Shawa, economista anche lui, che sarebbe poi diventato sindaco di Gaza: “… e questo (l’aumento del reddito palestinese) non è avvenuto per le buone intenzioni del governo israeliano. Potrebbe, al contrario, essere accaduto nonostante le sue cattive intenzioni. In sostanza è accaduto perché le leggi dell’economia funzionano”. I due economisti, quello israeliano potente ed il palestinese che fa finta di esserlo per nascondere la sua subalternità, trovano dunque un accordo completo grazie alla loro comune appartenenza alla scienza economica, che sta tanto al di sopra alle umane passioni da poter descrivere, scientificamente e quindi “oggettivamente”, le umane miserie. Quel che ha rovinato i palestinesi, spiega Kleiman, è stata l’Intifada, che ha fatto cessare la loro fonte principale di reddito: una “legge economica” funziona sempre, nonostante le cattive o buone intenzioni dei governi, in questo caso quello israeliano. L’Intifada, dice il Kleiman, è stata preannunziata “fin dai primi anni Novanta” da “molti casi di accoltellamenti e aggressioni di civili israeliani, per lo più da parte di gente di Gaza”, ispirati da Hamas, dice il professore. Egli deve aver dimenticato che quella gente era stata cacciata di casa armi alla mano nel 1948-49, e poi di nuovo, anche se in numero molto minore, nel 1967 ed anni seguenti. Il professore non si accorge della sua tragica ironia (o, forse, se ne accorge benissimo: un professore emerito di una rinomata Università non dovrebbe poter essere così sempliciotto): si può pensare che i posti di blocco che impediscono ai palestinesi di Gaza di andare a lavorare in Israele (ma anche nella West Bank!) e di vendere le loro merci (pomodori e olive) siano anch’essi una legge dell’economia? E che l’aver costretto un milione di persone cacciate dalle loro case nel 1948-49 a vivere in 365 km quadrati, in parte desertici, la maggior parte in campi profughi, in condizioni in cui la miseria è inevitabile, sia una di quelle leggi che governano l’Universo, come il moto degli astri nelle loro orbite e l’interazione tra atomi e molecole, invece della volontà di sopraffazione degli Israeliani, messa in atto con una durezza e un disprezzo per l’altro, sconosciuti dalla fine della seconda Guerra Mondiale? In questa loro situazione, il poter andare a lavorare in Israele è stata una manna per i palestinesi, perché ha consentito loro un reddito che, per piccolo che fosse, era meglio che niente, nonostante le condizioni di semi-schiavitù di quel lavoro, e la quotidiana umiliazione dei posti di blocco che si debbono attraversare per raggiungerlo. Ma, sempre ragionando in termini economici, era più conveniente ancora per gli imprenditori israeliani che li impiegavano, perché traevano profitti dal loro lavoro e dagli investimenti propri ed esteri. Tutto ciò fa parte delle “leggi economiche”: forse troppo condizionate dalla situazione politica e militare della regione, diremmo noi.
Anche un “economista puro” come Kleiman dovrebbe riconoscere che gli esseri umani, per poter lavorare efficientemente, hanno bisogno di certe condizioni minime: rapporti umani con i loro simili più immediatamente
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