Abbiamo conosciuto Gino nel ‘96, quando lo intervistammo su Andrea Caffi. Nel ’97 facemmo l’intervista su Nicola Chiaromonte di cui era stato amico e allievo.
Per noi, e per me in particolare, fu un incontro decisivo.
Io che, insieme ad altri amici, da cinque anni facevo la rivista, che anni prima per un decennio avevo fatto militanza politica a tempo pieno, non conoscevo i nomi di Caffi e di Chiaromonte. Mi vergognai molto ma, all’improvviso quasi, capii molte cose.
Grazie a Gino veniva alla luce una tradizione minoritaria, ma vitale, di compagni e pensatori straordinari, ognuno diverso dall’altro, amici fra di loro, isolati, che “avevano avuto ragione”. Ragione a essere antifascisti e a lottare, con coerenza e altrettanta intransigenza contro ogni totalitarismo, a pensare che i cambiamenti in meglio avvengono con le parole, con la cultura, con l’educazione e non con la violenza, che bisogna costruire da subito e non abbattere solamente. Persone che furono isolate e denigrate in vita, e dimenticate da morte, anche quando la storia, ma non chi aveva avuto torto, diede loro ragione.
Quell’incontro ci ha aiutato molto. E’ facile che chi ha creduto di cambiare il mondo, di avere la verità in tasca, una volta deluso, abbandoni tutto, anche gli ideali di gioventù, che l’avevano mosso, e, in qualche modo passi “dall’altra parte” o si ritiri a vita privata accettando di buon grado i privilegi che la fortuna gli ha concesso. Incontrare persone più grandi che, pur nell’isolamento, avevano tenuto fede a un impegno, a un rigore morale, continuando a credere che si può costruire, lottare, far qualcosa di buono, passando la speranza e i progetti di generazione in generazione, è stato importante. E’ stato anche come ritrovare una famiglia, e poterne sfogliare l’album di foto e leggere le carte.
Poi con Gino siamo diventati amici e lui ci ha fatto l’onore di prestare la firma a Una Città. E’ sempre stato un piacere averlo agli incontri nazionali della rivista. Ed era anche divertente vedere come i nuovi arrivati chiedessero chi fosse quel piccolo uomo, più anziano di noi, un po’ goffo, vestito in modo trasandato, taciturno. “E’ Gino Bianco, era a Tempo Presente con Chiaromonte, è stato a Londra più di vent’anni per l’Internazionale socialista…”. Dopo un po’ li vedevi al tavolo a cercar di sapere… Di Willy Brandt, di Golda Meir, del ‘60 a Genova, di Silone, dei socialisti italiani, della Polonia, tanto cara a Caffi e dove il nome Chiaromonte è tanto rinomato quanto non lo è in Italia, di Israele, che da buon vecchio laburista non riusciva a smettere di amare… di tutti quelli che Gino aveva conosciuto, ma di cui parlava con grande semplicità, senza mai l’ombra di una vanteria.
I libri di Chiaromonte, di Caffi, quelli che Gino ha dedicato loro, sono libri che quasi nessuno legge, sono seppelliti nei magazzini, e a volte, come mi ha detto alcuni giorni fa con rammarico un amico, cui peraltro va il grande merito della pubblicazione, tolti dai cataloghi, per ragioni meramente amministrative: già, proprio quelli di Chiaromonte. Le carte di Chiaromonte, le sue ricchissime corrispondenze giacciono sepolte a Yale e non avremo mai il bene di vederle pubblicate. Eppure quei libri, quelle carte sono lì, sono vive, ogni tanto compare un giovane che cerca… E forse il numero di questi giovani sta crescendo. Così ci diceva due giorni fa Miriam Chiaromonte a proposito dei libri di Gino e della loro importanza.
Ora, dopo tanti anni, esce di nuovo, ristampato, il libro di Gino su Caffi con la famosa prefazione di Moravia. Gino non ha avuto il bene di averlo fra le mani, così come non vedrà il quaderno che insieme stavamo preparando su Chiaromonte. Ma andremo in giro a presentarli. Continueremo nel nostro piccolo a passare quel testimone.
Credo che Gino su questo ci contasse.
Speriamo, anche, noi di Una città, per quello che abbiamo fatto in questi anni, di essere riusciti a dargli qualche soddisfazione.
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