Il 19 ottobre del 2020 un giovane insegnante di una scuola media di nome Samuel Paty è stato decapitato da un ventunenne devoto musulmano che si era infuriato perché Paty aveva mostrato delle caricature del profeta Maometto in classe.
Alla notizia di questa folle tragedia sono seguite manifestazioni in tutta la Francia. Questo insegnante della scuola media è diventato il simbolo del secolarismo repubblicano, di ciò che i francesi definiscono läicité. La polizia ha subito fatto scattare dei raid nelle sedi di alcune associazioni musulmane; nei circuiti istituzionali si è iniziato a discutere dell’ipotesi di espellere centinaia di persone. La morte di Samuel Paty ha anche scatenato una nuova ondata di islamofobia tutta a vantaggio dei neofascisti del Front National di Marine Le Pen; con il presidente Emmanuel Macron costretto a correre ai ripari in vista delle elezioni del 2022.
Questo il contesto di un “omicidio d’onore” religioso che in realtà è solo un fanatico atto di egoismo e vendetta. Una giusta risposta progressista non è poi così difficile da articolare: bisogna far capire chi è la vittima, pretendere che il presunto assassino e i suoi complici siano condannati, opporsi a una strumentalizzazione ideologica dell’episodio, rifiutare un’arbitraria deportazione di musulmani, e infine riaffermare con forza il principio di libertà di parola e di libertà di insegnamento.
Ma sarebbe un errore considerare tutte queste come verità di per sé evidenti. In questa società della “post-verità”, delle ipersensibili culture “consapevoli”, della “rimozione”, si rischia di far diventare principio etico quello che è piuttosto un sottrarsi alle responsabilità.

Nella lettura del “New York Times” del 20 ottobre, e nelle conversazioni personali con alcuni conoscenti, ho trovato abbondanti “spiegazioni” volte a mitigare, o persino a squalificare le prese di posizione di condanna di quanto accaduto. Si è parlato di una supposta “mancanza di sensibilità” da parte del signor Paty; avrebbe dovuto saperlo che usare come materiale didattico quelle caricature avrebbe solo portato conflitto e odio. Sicuramente con l’uccisione di questo insegnante si è passato il limite, ma resta vero che il suo assassino incarna il subalterno, ed era giustificabile che si sentisse offeso. Fare della religione altrui oggetto di satira sarebbe “offensivo”. Quali che fossero le intenzioni del signor Paty, poteva immaginare che le conseguenze avrebbero portato acqua al mulino degli xenofobi. Insomma, avrebbe dovuto essere più attento e cauto. Nessuno ha il diritto di gridare “al fuoco” in un teatro affollato; in un mondo multiculturale è necessario rispettare tutti i credo e provare empatia per i subalterni. La libertà di parola ha i suoi limiti psicologici, sociali -e politici. Queste le “spiegazioni”.

Non deve sorprenderci il fatto che le libertà civili siano in pericolo. Come possiamo pensare che questo blandire il pregiudizio sia compatibile con una pedagogia responsabile? Non c’è migliore apologia dei sentimenti xenofobi di questa reazione fanatica a una serie di vignette: ridurre questo a “devozione” è solo un modo per evitare la responsabilità sociale e i dettami della ragione. Sicuramente il signor Paty poteva anche prevedere critiche e controversie, ma certo non avrebbe mai potuto immaginare ciò che è accaduto. Inoltre proporre temi controversi in una scuola non equivale certo a gridare “al fuoco” in un edificio affollato. Il signor Paty ha fatto ciò che ha fatto in una classe, cioè nel luogo dove la libertà di parola andrebbe data per scontata. Va bene empatizzare con i marginalizzati o con i subalterni, ma la decisione di assassinare questo insegnante è stata presa sulle basi dell’arrogante e presuntuosa convinzione che i propri sentimenti di odio incarnassero in un qualche modo gli interessi di tutto l’Islam. Non è solo l’atto a essere imperdonabile, ma anche questo modo di pensare. Ci sono molti leader musulmani francesi, come gli imam Hassan Chalgoumi e Hocine Drouiche, che mi fregio di annoverare tra i miei amici, che non si sognerebbero mai di avanzare simili scusanti e non offrirebbero mai alcuna giustificazione per un atto tanto barbarico.

La libertà accademica esiste esattamente per proteggere l’insegnante che vuole dire qualcosa di controverso, e non per lusingare l’eventuale ristrettezza mentale. A quanto pare, il professor Paty non condivideva quelle vignette blasfeme, ma, anche se le avesse condivise, mostrarl ...[continua]

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