È merito della fondazione Alfred Lewin aver riportato alla memoria l’eccidio avvenuto a Forlì nel settembre del 1944, di un gruppo di ebrei incarcerati nelle prigioni italiane a opera di un reparto di SS tedesche di stanza nella città. Un eccidio oggetto di una documentazione e analisi in un recente numero di “una città”, che riguarda 17 ebrei tedeschi,polacchi,rumeni (oltre a un italiano) rifugiati in Italia per sfuggire alle persecuzioni nei paesi. Persone i cui nomi e, quando possibile, i trascorsi di vita che li hanno destinati a un esito fatale, ai quali la pietà e umanità dei responsabili della Fondazione hanno permesso di avere un riconoscimento e una degna sepoltura. Un’iniziativa che non si risolve in una celebrazione, ma risponde all’esigenza di rendere vivo il ricordo dell’enormità del crimine rappresentato dallo sterminio di esseri umani rappresentato dalla Shoah nel corso della Seconda guerra mondiale. Un crimine messo in atto in Europa che infligge un vulnus non rimediabile ai principi giuridici e morali della tradizione occidentale, mettendo fine alla vantata superiorità dei nostri valori di civiltà. La Germania, un paese preminente in termini di cultura e vigore economico sociale, forte del consenso politico di buona parte della società tedesca, è artefice dalla macchina di morte messa in moto in nome dell’ideologia nazista che ha portato all’eliminazione di sei milioni di ebrei. Un’operazione, non va dimenticato, che ha dato spazio dalla connivenza più o meno consapevole, quando non a una partecipazione attiva, alla campagna di sterminio che ha coinvolto in varia misura regimi e popolazioni di altre nazioni del continente. Una realtà, quella della Shoah, che per la sua valenza universale non si limita a chi l’ha perpetrata e/o l’ha resa possibile e “riguarda tutti”, compresi settori dell’amministrazione dello stato italiano, soggetto a partire dall’autunno del 1943 alla regolamentazione della Repubblica Sociale. Un regime che presenta tratti, fermo restando l’unicum costituito dall'ideologia e dalla struttura che hanno dato vita al sistema di potere che fa capo a Hitler, che si riferiscono alla categoria più ampia del totalitarismo così come si è manifestato nel corso della storia fino ai giorni nostri. Un fenomeno che trova riscontro nella politica di stati basati su un apparato burocratico amministrativo gestito da una moltitudine di addetti che, anche se non iscritti nei ranghi di partito, non hanno esitato, succubi alla logica di un ordinamento rigidamente gerarchizzato, ad assolvere compiti stabili dall’alto, rendendosi complici di un disegno genocidario.
Venendo all’Italia, nell’eccidio di Forlì, e alla valutazione degli elementi costitutivi della campagna ebraica relativa al caso, contenuti nella documentazione presente negli archivi di stato, risulta evidente il ruolo ricoperto dai funzionari e impiegati delle istituzioni rimaste attive, prefetture, questure, comuni, ligi agli ordini, nell’individuare e rintracciare, in funzione di un ordine di arresto, gli ebrei italiani e stranieri (un compito conferito dall’occupante tedesco, altrimenti impegnato nel confronto militare con le forze alleate che avanzavano verso nord, all’amministrazione della Repubblica Sociale, ben intenzionata del resto a portare avanti utilizzando polizia, carabinieri e milizia fascista una propria autonoma iniziativa persecutoria). Con la differenza che gli stranieri confinati in condizioni di precarietà facilmente individuabili per tratti specifici di comportamento, lingua, ecc., risultavano particolarmente vulnerabili all’azione dei servizi di sicurezza del regime. Mentre i cittadini italiani di origine ebraica, per quanto soggetti nel quinquennio precedente a un processo di progressiva emarginazione, superato lo smarrimento iniziale di fronte alla prospettiva di una minaccia diretta alla propria sopravvivenza, potevano contare in diversi casi, favoriti da un alto grado di mimetismo con l’ambiente circostante, conseguente a un processo di approfondita integrazione nella società, su un atteggiamento ispirato a sentimenti di compassione, quando non di attiva solidarietà. Un’azione di sostegno al tentativo degli ebrei di trovare rifugio e salvezza nella clandestinità che ha potuto beneficiare, superato il residuo retaggio di un antisemitismo latente di matrice cristiana, nell’accoglienza offerta da diverse istituzioni della chiesa, grazie sopratutto all’impegno dei membri appartenenti a ranghi
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