Marek Edelman, uno dei comandanti e dei pochi sopravvissuti dell’insurrezione del Ghetto di Varsavia nell’aprile 1943, dovrebbe essere noto ai lettori italiani per l’intervista che gli fece negli Anni Settanta una giornalista polacca Hanna Krall, pubblicata in Italia nel 1985 (Il ghetto di Varsavia. Memoria e storia dell’insurrezione, ed. Città nuova).
Come già il libro della Krall, anche questo supera di poco le 150 pagine. Ma le cose che Edelman è in grado di raccontare potrebbero riempire un volume di molte centinaia di pagine. Il fatto è che Edelman fa fatica a raccontare le straordinarie vicende della sua vita e soprattutto non ama parlare di sé. Per questo il libro è gremito di una folla di personaggi: sono coloro che animarono la storia del Bund, il partito socialista ebreo che operò prima nella Russia zarista e poi nella Polonia tra le due guerre, una vicenda che Edelman visse da giovanissimo (e di cui Goldkorn opportunamente traccia la storia nell’introduzione); sono gli ebrei di Varsavia rinchiusi nel ghetto nel novembre 1940, che cercano di organizzare in qualche modo la loro vita comunitaria in mezzo alle vessazioni e ai rastrellamenti e mettono in atto una rete di solidarietà e una struttura di combattimento che sfocerà nella disperata rivolta del 1943; sono ancora i protagonisti dell’insurrezione di Varsavia iniziata il I° agosto 1944 e schiacciata dai tedeschi in poco più di un mese, mentre l’armata rossa stava a guardare dall’altra parte della Vistola.
Il Bund, la rivolta del Ghetto, l’insurrezione di Varsavia sono le tre sfortunate epopee che hanno segnato la vita di Edelman e che hanno lasciato dietro di sé una folla di morti. Sono questi soprattutto che Edelman vuole ricordare in questa intervista, come ha fatto per decenni dopo la guerra, quando, trovandosi nel vuoto lasciato dagli amici scomparsi o emigrati e poco attratto dal nuovo regime, decide di fare il guardiano delle tombe del suo popolo e si ritira per dedicarsi alla sua professione di medico.
Edelman si riaffaccia alla vita pubblica solo alla fine degli anni Settanta, quando prima il Kor e poi Solidarnosc ridanno vita a iniziative di solidarietà e impegno civile che forse gli ricordano il Bund della sua giovinezza. E torna a fare vita clandestina sotto il regime militare. Oggi continua a fare il medico a Lodz.
Lisa Foa
La polizia ebraica
Volete sapere cosa penso del giudizio di Antek sulla polizia ebraica. Antek, nel suo libro, uscito postumo in Israele, ha parole di fuoco per la polizia ebraica. Dice che i poliziotti erano dei traditori, che la nostra attività di organizzazione militare doveva iniziare con l’eliminazione fisica di costoro. Credo che si trattasse di una valutazione troppo semplicistica e un po’ affrettata. Forse dettata anche dall’ideologia. In fondo, Antek, da bravo sionista, ha sempre sognato un popolo ebraico duro e puro. Ora, tra i poliziotti, molti erano dei poveracci. Si erano arruolati con la speranza di salvare la propria vita e quella delle famiglie. Erano persone che pur di sopravvivere erano disposte a portare all’Umschlagplatz il numero giornaliero di ebrei richiesto. I tedeschi, durante il Grande Rastrellamento del luglio ’42, ne esigevano cinque al giorno da ogni poliziotto. Questi opportunisti erano forse la metà del corpo. Ma non bisogna mai scordarsi che la polizia ebraica del ghetto aveva una propria storia da difendere. L’aveva fondata l’avvocato Berensohn, una persona davvero perbene. Prima della guerra era uno dei più celebri difensori di prigionieri politici. Nel ghetto costituiva una autorità morale, politica e giuridica riconosciuta da tutti. Ha pensato che se nella polizia ci fossero stati avvocati, ingegneri, gente illuminata e progressista, nel ghetto avrebbe regnato la legalità. All’inizio, effettivamente, la polizia si occupava del mantenimento dell’ordine e della corretta amministrazione. Erano compiti difficilissimi, in quelle tragiche condizioni. Ciò nonostante, la polizia qualcosa di buono è riuscita a farlo. Era stato nominato comandante Szerynski, un ebreo convertito al cattolicesimo, un ufficiale di polizia d’anteguerra.
Ora, mentre i compiti della polizia non erano ben definiti, il ghetto stava crescendo. Essere un pol ...[continua]
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