E’ ingenuo vedere in Berlusconi e nel suo gelatinoso movimento una minaccia per la democrazia. E questo non perché non si debba indulgere al catastrofismo -è veramente difficile, infatti, immaginare per il nostro futuro prossimo qualcosa di più disgustoso di una società plasmata sui valori propugnati dal cavaliere di Arcore e dai suoi seguaci-, ma per una ragione semplicissima, che spiega, al contempo, anche la probabilissima sconfitta della sinistra alle prossime elezioni. «Berlusconi» -nome-cifra del sospirato «nuovo» che ci attende al varco- è la democrazia, ne è la sua compiuta manifestazione. Non si sobbalzi sulla sedia, denunciando la violazione sistematica della legalità, la manipolazione delle coscienze, il ricorso alle tecniche della disinformazione che caratterizzano la campagna elettorale del biscione. Non è certo la difesa di questi valori del liberalismo classico a qualificare il carattere profondamente «democratico» dell’esperimento berlusconiano, tant’è che questi ideali, non senza una certa ironia della storia, sono sbandierati proprio dallo schieramento avverso a quello che ama definirsi “liberal-democratico”. Con Forza Italia si mira infatti all’essenza della democrazia, a ciò che fa di essa qualcosa di più di un sistema di astratte regole atte a garantire la libertà formale del cittadino, qualcosa che, invece di attardarsi in incomprensibili astrazioni (separazione dei poteri, autonomia del momento economico da quello politico, pluralità dei soggetti nell’informazione ecc.), parla direttamente al cuore dell’uomo-massa, lo seduce e lo incanta. La democrazia, con il karaoke e il linciaggio mediologico, si fa finalmente contenuto, dismettendo la sua arcaica, ottocentesca, veste formale e puramente metodologica. Non si deve eccedere nella sottovalutazione dell’intelligenza dell’elettore del biscione. Egli vede in modo sufficientemente chiaro ciò che gli avversari del cavaliere non si stancano di denunciare, ma col cuore sente che la posta in gioco è troppo importante -e direi troppo per lui gratificante- per essere sacrificata a questioni di dettaglio. E la libertà della coscienza, lo spirito critico, il rispetto delle forme, sono questioni di dettaglio quando la democrazia, appoggiandosi alla moderna tecnologia delle comunicazioni di massa, può finalmente dar corpo -un corpo immaginario senza sangue né lacrime- al proprio mito fondatore: la dittatura dell’opinione pubblica, l’universalizzazione dello spirito gregario, l’eliminazione, in ultima analisi, di qualsiasi gerarchia che abbia il proprio fondamento in qualcosa di diverso dal consenso rancoroso della maggioranza. La demagogia, infine. Un filosofo tedesco, assai contestato, lo aveva scritto più di sessant’anni fa: il mito della democrazia compiuta è il dominio dell’anonimo, del “si” impersonale, la sostituzione della chiacchera universale alla responsabilità della parola. E, a ben guardare, se il tanto vituperato Berlusconi si sottrae al «confronto» per rintanarsi nel monologo vuoto e ossessivo, ciò accade perché ben sa che la sua parola, indipendentemente dal messaggio, è speculare al quotidiano mormorare del suo pubblico. E’ questa sovranità immaginaria, questa possibilità di protagonismo offerta, senza canone, all’ultimo degli uomini -dopotutto basta rispondere ad un sondaggio o dire la propria opinione in una trasmissione televisiva-, e non la libertà, l’uguaglianza, la fraternità, a parlare al cuore dell’uomo-massa, di colui cioè che non è individuo se non nella idiosincrasia dei suoi inconfessabili vizi, ma che, quando pensa, pensa come «si pensa» e, soprattutto, si indigna come «ci si indigna». E’ evidente che ben poco può fare contro tutto questo il semplice appello alla ragione. La sinistra legalitaria e liberale, illuministicamente, confida ancora nella maturità dell’elettore. Pensa umanisticamente al consenso come a qualcosa che si raggiunge al termine di un processo di formazione, nel dialogo e attraverso il dialogo. Se non alza la voce e si mostra bene educata è perché crede che sia l’evidenza a parlare per lei. Ma le evidenze della ragione franano sempre di fronte a ciò che è evidente al cuore, il quale, anche nel male, ha comunque una ragione in più.
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