La questione delle droghe illecite viene generalmente considerata un aspetto marginale dell’economia e della politica mondiale. Così non è. Il “business” del narcotraffico è stimato intorno ai 500 miliardi di dollari l’anno, circa il 20% del commercio mondiale: un giro di profitti superiore a quello prodotto dall’industria del petrolio, uno dei dossier prioritari della politica interna ed estera dei governi di tutte le nazioni.
In questo articolo mi limiterò al ruolo che tale questione gioca nella politica interna degli Stati Uniti. Un ruolo la cui importanza cresce in funzione del mercato clandestino delle droghe illecite, che è ancor oggi in piena espansione e interessa ormai tutti i continenti.
La dissoluzione dell’Unione Sovietica e del blocco dei paesi comunisti ha favorito tale espansione, consentendo l’apertura di nuove rotte del traffico e di nuovi mercati. Gli Stati Uniti sono così diventati il “playmaker” incontrastato della politica mondiale; la loro strategia di “guerra alla droga” sembra rimpiazzare quella della lotta al comunismo per il controllo del pianeta.

Fin dalle origini la geopolitica americana -come sostiene François-Xorier Dudonet- “si basa più su un’occupazione ideologica dello spazio che su un’occupazione economica o militare”. L’occupazione ideologica precede talvolta quella di altro tipo. La cosiddetta “guerra alla droga” trova il suo fondamento ideologico nel proibizionismo, le cui origini negli Stati Uniti risalgono alla fine del XIX secolo. L’oppiomania era infatti molto diffusa tra i cinesi immigrati sulla costa occidentale nordamericana. Alcuni stati dell’Unione adottarono, nel 1875, le prime leggi che vietavano il fumo dell’oppio, percepito come il “veleno dello straniero”.
Quando nel 1900 la Spagna fu cacciata dalle Filippine, la colonia passò sotto l’influenza degli Stati Uniti. L’oppiomania rappresentava un vero e proprio flagello per l’ex-possedimento spagnolo. Su iniziativa del presidente Roosevelt, nel 1909 si riunirono a Shanghai le delegazioni di tredici paesi per esaminare il modo di “smettere la deplorevole abitudine di fumare l’oppio, che regna nelle Filippine e si estende a tutto l’Estremo Oriente”. Fu il vero atto di nascita dell’ideologia internazionale delle droghe. La conferenza di Shanghai mostrò la contrapposizione degli Stati Uniti e della Cina alla Gran Bretagna e alla Francia, che possedevano il monopolio del commercio dell’oppio in Asia. Con il pretesto dell’oppio gli Stati Uniti perseguirono l’obiettivo di insediarsi in Asia, grazie ad un’alleanza con la Cina e, allo stesso tempo, di entrare alla grande nella scena internazionale.
Sopravvenne la prima guerra mondiale. Le varie nazioni ebbero ben altro a cui pensare, i trattati, che prevedevano la limitazione della produzione dell’oppio e la proibizione dell’uso per fini non-terapeutici, rimasero nel cassetto fino a quando, con la fine della guerra un’ondata di morfinomania e di eroinomania si abbatté sull’Europa e sugli Stati Uniti: le due droghe erano state usate per curare i feriti di guerra, divenuti in molti casi dei tossicodipendenti.
Nei venti anni intercorsi tra le due guerre, segnati dal laceramento del tessuto connettivo dell’Europa e dalla grande crisi economica del 1929, il proibizionismo non ebbe grande rilievo sulla scena politica mondiale. Tuttavia la Società delle Nazioni discusse ed approvò un “carosello di convenzioni” in cui venivano fissati gli indirizzi per un futuro interventismo sui paesi responsabili di alimentare il mercato clandestino. Diritto di controllo internazionale sui livelli di produzione dei singoli paesi; esenzione degli organismi per la raccolta dei dati disponibili sulla produzione e sul traffico; affermazione del principio dell’estradizione dei trafficanti, e del ricorso all’opinione pubblica per denunciare quei paesi che non si fossero adeguati alle direttive della Società delle Nazioni.
L’ideologia del proibizionismo delle droghe si inseriva nel processo di formazione della diplomazia moderna. L’uso delle Conferenze internazionali e degli accordi multilaterali, come occasioni e strumenti per imbrogliare le carte, per non svelare gli obiettivi reali delle strategie politiche, o più semplicemente come ammortizzatori delle contraddizioni tra gli stati: il segno della crescita dei rapporti di interdipendenza tra le nazioni e della fine della diplomazia “d’anticamera” del XIX secolo.
Gli Stati Uniti riprendono in mano il dossier droga dopo la fine ...[continua]

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