La menzogna fa da sempre parte della politica. Tradizionalmente però la bugia era considerata un male necessario che chi comanda doveva tenere occulto ai sudditi. Anche i dittatori cercavano di nascondere le crudeli verità su cui i loro regimi si fondavano.
La scoperta del gap tra illusione e realtà, tra come il mondo appariva e come in realtà funzionava offrì a critici e riformatori il senso della loro missione.
Nello svolgersi della guerra in Iraq, tuttavia questa nobile aspirazione è stata messa in crisi dalla fiducia necessaria per portare avanti il discorso democratico.
L’Amministrazione Bush ha prepotentemente proclamato la legittimità della menzogna e l’irrilevanza della verità quando si tratta di giustiticare scelte politiche, mentre i media di fatto si sottraevano alle loro responsabilità.
La Gran Bretagna ha aperto delle indagini sulla decisione di sostenere l’invasione americana dell’Iraq dell’allora Primo ministro Tony Blair. Di questo però non arriva una voce da questa parte dell’Atlantico. Perché non è stata avviata un’indagine del Congresso sull’Amministrazione Bush qui negli Stati Uniti?
La guerra in Iraq non si è fondata su errate interpretazioni o informazioni ingannevoli -come la pubblicistica ha voluto suggerire- ma su una clamorosa falsità. Non esistono armi di distruzione di massa in Iraq. Nessuna prova è stata trovata riguardo serie connessioni tra Saddam Hussein e al Qaeda. L’Iraq non poneva rischi di sicurezza rispetto agli Stati Uniti. Tutto questo è stato sancito in Gran Bretagna. I funzionari della Cia hanno affermato di essere stati sottoposti a pressioni per far sì che gli esiti delle loro indagini andassero a confermare la politica del governo.
Il Segretario di Stato Colin Powell non ha ancora offerto una spiegazione soddisfacente sulle affermazioni fatte in quel suo famigerato discorso in mondovisione sulle armi di distruzione di massa. Altri importanti membri della cerchia di Bush hanno ammesso che la minaccia nucleare serviva a creare un consenso alla guerra.
Il processo di democratizzazione della regione è stato presto abbandonato, assieme, recentemente, alla guerra al terrorismo.
Non c’era mai stata una seria ragione per invadere l’Iraq. Gli appassionati di storia dovrebbero ricordare il 1898 e la guerra ispano-americana, che ha segnato l’emergere degli Stati Uniti come potere imperialista, quando il magnate dell’editoria William Randolph Hearst disse ai suoi giornalisti: "Voi procuratemi le foto e io procurerò la guerra”. I cittadini americani intuiscono le vere ragioni. Ma non è ora che i responsabili di questa guerra catastrofica siano messi di fronte ai fatti? L’invasione è stata provocata dai sogni geopolitici di controllare un paese "che nuota nel petrolio” e che ha quattro fiumi in una regione arida.
Poi c’erano i profitti da miliardi di dollari per Bechtel, Haliburton, Blackwater (ora rinomintata) e gli altri. Ma c’erano anche altre ragioni. La conquista dell’Iraq avrebbe gettato la paura su Teheran e Damasco. Gli Stati Uniti avrebbero guadagnato una presenza militare alternativa a quella che avevano in Arabia Saudita. Magari la caduta di Saddam avrebbe persino reso possibile la pace tra Israele e Palestina. Si sarebbe magari potuto esportare la democrazia nella regione.
Questi erano i piani. Dopodiché va detto che i profitti delle corporation amiche di Bush sono esplosi, mentre nessuno degli altri obiettivi è stato raggiunto.
Nel momento in cui il presidente Barack Obama avvia il ritiro di 100.000 uomini (lasciandone sul terreno 50.000), l’Iraq è in condizioni disastrose: guidata da un parlamento in mano ai signori della guerra, con l’economia in stato rovinoso è addirittura priva di una rete elettrica funzionante.
E’ stato inferto un colpo al potere americano nella regione (il che aiuta a capire la politica cocciuta e masochista dell’Amministrazione Obama in Afghanistan), il regime iraniano è diventato più repressivo e la road map per la pace tra Israele e Palestina non ci ha portato da nessuna parte.
Anche se le cose apparissero differenti in futuro, queste non giustificherebbero gli ingiustificabili costi.
Abbiamo dimenticato le "freedom fries” [il nome adottato per le patatine fritte, in sostituzione di "French fries”, dopo che la Francia si era opposta all’invasione dell’Iraq, Ndt] gli "alert” in tv, lo sprezzo della legge internazionale, e tutto quanto faceva capo alla stupida propaganda dei Repubblicani che la maggio ...[continua]

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