[continua dal n. 184]
Il Rapporto della missione Onu sull’Operazione Piombo Fuso, presieduta dal giudice sudafricano Richard Goldstone, presentato il 15 settembre 2009 e approvato dall’Onu il 16 ottobre, rivela violazioni dei diritti umani (crimini di guerra) da entrambe le parti in conflitto. Il governo israeliano reagisce violentemente. Malgrado il gelo nei rapporti fra Obama e Netanyahu, anche in quella sessione del Human Rights Council non manca l’incondizionato appoggio degli Usa. Votano contro il Rapporto approvato con 25 voti a favore e sei contrari (fra cui Usa e Italia), undici astenuti e cinque non votanti (fra cui Francia e Gran Bretagna).
Continuano intanto i soprusi sui palestinesi, già oberati dai provvedimenti restrittivi dell’occupante. Per esempio: Haaretz il 27 ottobre denuncia che dei coloni hanno sradicato dozzine di ulivi nella Samaria, scontrandosi con raccoglitori palestinesi; è seguito un raid intimidatorio in un villaggio vicino.
Il 9 novembre Obama manifesta tacitamente contrarietà al governo israeliano disertando, con inaspettato preavviso, l’Assemblea Generale della Unione delle Comunità Ebraiche (3000 ospiti dal mondo), vi delega il Chief of Staff Rahm Emanuel. Il giorno prima concede a Netanyahu, poco prima di partire per il Texas per una cerimonia militare a Fort Hood, un rapido e inconcludente colloquio. Di ritorno a Washington, il portavoce della Casa Bianca, l’11 novembre dichiara il disappunto per non avere Netanyahu avanzato nuove, concrete proposte per favorire la ripresa di trattative di pace, e il 18 seguente Obama conferma l’opinione che l’espansione degli insediamenti non renderà Israele più sicura. Il 25 novembre il governo israeliano approva, unica concessione alle pressioni americane, una moratoria di dieci mesi delle costruzioni a Gerusalemme Est e nel West Bank per spingere nel frattempo Abu Mazen a riprendere incondizionatamente le trattative di pace. Tuttavia, il 22 gennaio 2010 ribadisce che Israele non consentirà di dividere Gerusalemme, né accetterà di ritirarsi sui confini precedenti la guerra del giugno 1967. Ribatte Abu Mazen dalla televisione russa il 27 gennaio d’essere disposto a riaprire i negoziati di pace qualora gli insediamenti venissero definitivamente congelati, ma concorda con George Mitchell di iniziare con Israele trattative indirette.

Come negare che l’egemonia del Likud di Netanyahu, che fu di Begin (lo fondò con Sharon nel 1973), avversario politico di Ben Gurion, rappresenti l’animus di Israele? La seconda presidenza Rabin del governo a guida laburista (23 giugno 1992, protrattasi coll’infelice governo Peres ad interim fino al 29 maggio 1996), è una parentesi presto chiusa il 4 novembre 1995 con l’assassinio del premier per mano di un giovane religioso, condizionato dal rabbinato, all’unanimità ostile al processo di pace.
Come Rabin avrebbe concluso gli Accordi di Oslo non è da sapere. È tuttavia noto che le zone A e B, corrispondenti alle prime due fasi del graduale ripiegamento di Israele, corrispondono grosso modo alle aree riservate ai palestinesi dal Piano Yigal Allon (1970), modificato dal Piano Clinton Balley (1993). Entrambi contemplavano l’annessione di aree della Cisgiordania. Il primo, con finalità prevalentemente strategiche, suggeriva la divisione della Cisgiordania in due tronconi (Samaria e Giudea) popolati densamente da arabi e l’annessione delle aree deserte o semideserte (la valle del Giordano, meno Gerico, e le Giudea orientale). Balley consigliava tre enclave per consentire l’annessione in profondità (grosso modo la zona C degli Accordi di Oslo) degli insediamenti sorti nel frattempo. I due piani non furono ufficializzati, ma i governi israeliani li terranno sempre presenti. Dal 1967 l’orientamento prevalente nella politica israeliana è quello di non rinunciare alla Cisgiordania e di concedere ai palestinesi -forse-autonomia amministrativa solo su isolate enclave. Orientamento dal quale si sarebbe sottratto Rabin?
Giova ricordare gli estremi degli Accordi di Oslo. Rabin aveva condotto la campagna elettorale del Labour contro il Likud di Yitzhak Shamir all’insegna della necessità di trattare con l’Olp di Arafat, organizzazione ritenuta allora terroristica. Era ancora in corso l’Intifada (8 dicembre 1987-3 settembre 1993). Le trattative si conclusero a Oslo il 20 agosto 1993, ratificate a Washington Il 13 settembre e perfezionate con gli Accordi cosiddetti di Oslo II (Washington, 28 settembre 1995). Pr ...[continua]

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