Pubblichiamo la conclusione di Pino Ferraris al Convegno sulla Mutualità promosso dalla Società di Mutuo Soccorso d’Ambo i Sessi "Edmondo De Amicis” e tenutosi a Torino il 29 ottobre 2010.

Nel corso della prima sessione del convegno intitolata "Che cosa ci insegna la storia della mutualità”, Marco Revelli ha parlato di questa esperienza come di una grande scuola di auto-organizzazione e come anello di congiunzione tra la cultura dei mestieri e i problemi degli ambiti di vita e, infine, come uno storico movimento di costruzione di nuove relazioni sociali basate sul principio di solidarietà. Occorre non perdere mai il senso di questa profonda ed ampia ispirazione delle società di mutuo soccorso.

Nella seconda sessione del convegno dedicata a "Crisi del Welfare ed economia civile” è stata sollevata una domanda molto pertinente: perché oggi c’è una ripresa del mutualismo? Quarant’anni fa si parlava di altre cose.
Questo ritorno rappresenta soltanto un tentativo di risposta alla crisi del welfare oppure ha una valenza politica?
Revelli ha affermato che il movimento operaio del Novecento ha vissuto di rendita sulla grande ondata istituente di nuove forme associative suscitate nella seconda metà dell’Ottocento: il mutuo soccorso, le leghe di resistenza, la cooperazione, le case del popolo, il partito di massa.
Il Novecento non ha solo ereditato la rendita di queste risorse associative, ma a partire dalla tragica esperienza della Prima guerra mondiale esso ha anche operato una torsione burocratica, politicista e statalista del patrimonio del movimento operaio ottocentesco.
Qui sta la ragione principale del mancato riconoscimento storiografico del mutualismo: con esso si è rimossa la sua ispirazione autogestionaria, il suo radicalismo democratico, la sua affermazione delle autonomie del sociale.

Il ritorno del mutualismo significa anche e soprattutto ricerca di nuove vie della politica dopo la crisi di socialismi autoritari, di sistemi politici oligarchici e autoreferenziali, dopo le deviazioni del welfare verso forme di paternalismo statale selettivo e clientelare
Dentro lo sviluppo del volontariato, di movimenti di cittadinanza attiva, di buone pratiche di cittadinanza negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta, si aprivano possibilità di sussidiarietà circolare (Cotturri) tra istituzioni e associazioni in grado di far emergere una sfera pubblica sociale (che non è il cosiddetto privato-sociale). La stagione dei "nuovi sindaci” prometteva l’articolazione di un welfare locale.
Tutto ciò sembrava rompere la rigidità, la selettività, la freddezza burocratica dell’offerta di welfare e aprire varchi all’intervento attivo, competente e propositivo della domanda sociale, rendendo visibili ed esigibili diritti negati o elusi dei cittadini.

È possibile rompere il nesso assistenza-dipendenza? È possibile che i "destinatari” dell’offerta di welfare diventino anche attori proponenti di una domanda sociale nuova e appropriata? È possibile che l’"oggetto” delle pratiche di tutela politica e amministrativa possa entrare sulla scena pubblica come "soggetto”?
È in questa ottica che per anni con altri amici e compagni abbiamo lavorato non per tamponare una "crisi” del welfare ma per realizzare un nesso tra "riforma” ed "estensione” del welfare e i valori di autonomia sociale, le pratiche di partecipazione e di solidarietà di un neo-mutualismo. Oggi sono più prudente nel privilegiare questo rapporto neo-mutualismo e welfare. Non solo perché questo riferimento al welfare mi pare riduttivo, ma anche perché su questo terreno le strade si sono fatte oggi più strette e i percorsi quasi impraticabili.

Come si colloca il neo-mutualismo dentro quell’insieme di pratiche sociali che vengono sommariamente riassunte nella definizione del "terzo settore”?
Recentemente a Roma si è tenuto un convegno dal titolo significativo: "Terzo settore, fine di un ciclo”. La relazione era di don Vinicio Albanesi, fondatore della Comunità di Capo d’Arco; sono seguiti interventi di Giovanni Nervo, Giuseppe De Rita e Carniti. Concludeva Giulio Marcon.
De Rita in poche parole ha fissato la situazione: "Oggi il volontariato è in qualche modo uno spazio per anziani generosi, mentre la dimensione più giovanile e anche quella più settorializzata va verso un’altra direzione che approda alla cooperazione di servizi e alle imprese sociali, che sono una cosa molto diversa dal volontariato”.
Una riforma del Welfare richiede non solo la ...[continua]

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