A quasi un anno da quel 17 dicembre che ha dato vita alle proteste, la Tunisia si prepara all’ufficializzazione del nuovo governo tra continue manifestazioni di piazza.
Nonostante il consistente ritardo, i risultati delle elezioni hanno visto Ennahda, il partito islamico, in testa con 89 seggi, il Congrès pour la république (Cpr) con 29, la Pétition populaire pour la liberté, la justice et le développement (Al Aridha Achaabia) con 26. Le Forum Démocratique pour le Travail et les Libertés (Ettakatol) con 20, il Parti Démocratique Progressiste (Pdp) con 16. L’initiative (Al Moubadara) e le Pole Démocrate Moderniste (Pdm) con 5 (cadauno), l’Afek Tounes con 4, l’Al Badil Althawri con 3, il Mouvement des Démocrates Socialistes (Mds) con 2 e il Mouvement du peuple (Haraket Achaab) con 2. Le altre 16 liste indipendenti hanno ottenuto ciascuna un seggio. Venerdì 18 novembre, i tre partiti che hanno ottenuto il maggior numero di voti alle elezioni (Ennahda, Cpr ed Ettakatol) sono giunti a un accordo in base al quale sarebbero confermate, anche se ancora non ufficializzate, le cariche di presidente della Repubblica a Moncef Marzouki, di presidente dell’Assemblea costituente a Mustapha Ben Jafar e quella di capo del governo a Hamadi Jabali, del partito più votato, Ennahda, appunto.

Da subito, la vittoria di Ennahda ha suscitato numerose perplessità nell’opinione pubblica e, dopo gli episodi delle ultime settimane, continua a preoccupare i più. Ad esempio, in un liceo del quartiere popolare di Ettadhamen, in cui Ennahda ha stravinto, durante l’ora di disegno due giovani studenti hanno interrotto il professore per mettere in discussione la legittimità d’insegnamento della materia che, secondo loro, sarebbe vietata dalla legge islamica. Minacciato, il professore ha dovuto abbandonare l’edificio scortato dalla polizia, evitando lo scontro con un gruppo di giovani che manifestava contro l’insegnamento del disegno nelle scuole.
Dopo la vittoria di Ennahda, anche i salafiti del partito Ettahrir (benché non riconosciuto legalmente), che sono per un Islam rigoroso incline all’applicazione letterale della sharia (legge islamica), hanno deciso di uscire allo scoperto occupando la grande piazza di Hammamet per presentare il loro programma. Quasi una settimana fa, invece, una trentina di studenti di diversi istituti universitari ha occupato la facoltà di Lettere della Manouba di Tunisi per rivendicare una sala di preghiera e il diritto delle studentesse di assistere ai corsi indossando il niqab (il velo nero, che ammanta l’intera figura, con una fessura all’altezza degli occhi). Unanime, la dirigenza dell’ateneo si è schierata contro di loro. Il gruppo salafita avrebbe affermato di voler semplicemente aiutare "le sorelle in niqab” a sostenere gli esami. Se da un lato il consiglio scientifico non ha voluto cedere il passo all’uso del niqab, vietandolo, dall’altro ha preso la decisione di edificare un luogo di preghiera all’interno della facoltà, accordando così ai barbus una delle loro rivendicazioni.
Risolta o quasi la situazione all’interno dell’ateneo, dal 30 novembre, in uno dei quartieri di Tunisi, il Bardo, è stata organizzata una grande manifestazione di denuncia dei pericoli che minacciano la transizione democratica in Tunisia, anche dopo le elezioni del 23 ottobre scorso. I manifestanti continuano, ormai da giorni a manifestare davanti alla sede dell’Assemblea costituente e a trascorrere anche le notti in tenda, nonostante  lo sgombero da parte della polizia. Tra le loro principali rivendicazioni, il dissenso verso ogni forma di dittatura, il riconoscimento della sovranità del popolo, uguali diritti per tutti e la revisione dei poteri del primo ministro a discapito del capo dello Stato.
Nel frattempo aspettiamo che il governo venga ufficializzato.