La politica del figlio unico e la sua riforma
La Pfu -ancora formalmente in piedi- si basa sulla sottoscrizione, da parte delle coppie, di un "certificato di figlio unico” che concede vantaggi monetari e sociali ai sottoscrittori e penalità severe ai trasgressori. Nelle aree urbane le eccezioni sono possibili solo per una ristretta casistica, tra cui le coppie formate da partner ambedue figli unici. Dopo oltre trent’anni di vigenza della Pfu, sono oramai una maggioranza i nuovi matrimoni nei quali i contraenti sono ambedue figli unici e quindi esenti dall’obbligo di fermarsi al primo figlio. Nelle aree rurali, invece, la politica finora in atto permette alle coppie con una figlia femmina di avere un secondo figlio. Infine, nelle aree popolate da minoranze, le restrizioni sono ancora minori. Nell’insieme, la rigida applicazione di queste norme implicherebbe un numero medio di figli per donna pari a 1,5, poco meno della media effettivamente registrata dalle statistiche ufficiali. La nuova politica prevede che tutte le coppie nelle quali un partner (e non ambedue) è figlio unico possano avere un secondo figlio; le nuove regole entreranno in vigore man mano che ciascuna delle 33 Province recepirà le direttive emanate dal centro.
Gli effetti della svolta
Sugli effetti "numerici” della nuova normativa, gli analisti hanno pareri abbastanza concordi: si creerà un transitorio aumento delle nascite, dato che un certo numero di coppie si trova nella condizione prevista per beneficiarne (coppie con un solo figlio, madre o padre figlio unico, e in età di avere figli). Un’indagine della National Health and Family Planning Commission valuta in 15-20 milioni il numero di queste coppie, delle quali una metà interessate ad avere un secondo figlio nei prossimi anni. Wang Feng, un noto demografo che insegna in Cina e negli Usa, valuta in 1-2 milioni l’anno, nel prossimo triennio, le nascite addizionali, con un incremento dell’ordine del 6-12% rispetto ai 16 milioni di nascite attuali; l’effetto svanirebbe negli anni successivi. Non cambierà dunque la rotta della demografia cinese: la bassa fecondità è oramai interiorizzata dalle coppie e i processi di veloce invecchiamento e il rallentamento, l’arresto e poi la flessione della popolazione (il punto di svolta si situerebbe attorno al 2030), seguiranno il loro corso.
Oltre la demografia, la politica
La motivazione della svolta non è stata dettata da considerazioni demografiche, ma è di natura del tutto politica. La Pfu fu imposta su una popolazione riluttante ad accettare un’intrusione così violenta nelle decisioni private: oltre al generale scontento, le proteste e anche le ribellioni sono state molto frequenti e solo episodicamente ne è trapelata notizia fuori del paese. Il vertiginoso sviluppo economico ha poi reso sempre più clamorosa la contraddizione tra la liberalizzazione dei comportamenti individuali nei consumi e negli stili di vita e la rigida regolazione dei comportamenti riproduttivi. Già da tempo, voci autorevoli di studiosi e di organizzazioni scientifiche cinesi invocavano la fine della Pfu. Le nuove regole fanno presagire che non sia lontano il momento nel quale la Pfu verrà definitivamente e ufficialmente abbandonata. Essa ha oramai fatto il suo tempo e ottenuto i suoi scopi: non fosse intervenuta, oggi la popolazione cinese sarebbe di varie centinaia di milioni più elevata dei 1.385 oggi (2013) raggiunti. La Pfu ha consentito di raggiungere l’autosufficienza alimentare, ha creato una "finestra” di opportunità lunga qualche decennio che ha sostenuto lo sviluppo, poiché una rigogliosa popolazione in età attiva ha coinciso con una contenuta popolazione bisognosa di trasferimenti: bambini e giovani via via meno numerosi e anziani ancora non in forte crescita.
La Pfu ha però una faccia oscura e minacciosa, e per vari motivi. Ha imposto f ...[continua]
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