Cari amici,
sono venuta per alcuni giorni a Taipei, la capitale di un Paese che non è un Paese, dato che l’ombra della Cina gli impedisce di esserlo. Dormo in un quartiere residenziale, per cui non vedo la massa di turisti cinesi che adesso sono autorizzati a venire qui; una delle grosse novità degli ultimi sei anni, all’insegna della "distensione” fra le due coste dello Stretto di Formosa. Le volte che me li incontro, come al solito, resto perplessa da un sacco di cose delle quali vi parlo da anni: il nazionalismo, inscalfibile anche nelle teste di chi viaggia, il modo in cui l’innalzarsi del tenore di vita, accompagnato alla costante propaganda, ha prodotto ibridi bizzarri e a mio giudizio inquietanti… E varie altre considerazioni, positive e no.
Ma tutto questo, per l’appunto, è un lungo discorso che porto avanti da tanto tempo senza arrivare a conclusioni molto soddisfacenti e sul quale non ho voglia di soffermarmi oggi. Perché, fra l’aria condizionata (che qui è meno selvaggia che a Hong Kong, dove si passa l’estate con un golfino nella borsa per quando si deve entrare in un negozio, ufficio o ristorante), i viaggi aerei, le ore passate fuori con il sole a picco, mi si sono un po’ irritati gli occhi così sono andata in farmacia a chiedere un collirio. Il farmacista, un ragazzo che pensavo di colliri se ne sarebbe inteso, dato che mi guardava da dietro degli occhiali grandi come padelle, mi chiede se lo voglio "da donna”. E visto che a Taiwan molto spesso i primi scambi in cinese vedono il proprio interlocutore un po’ perplesso, come se un volto non-cinese che produce suoni intelligibili sia uno shock da assorbire, senza troppo pensarci su, e rassicurarlo, ho detto: "Eh… certo, da donna, va bene”, chiedendomi se fra uomini e donne avessimo gli occhi diversi, per sensibilità o che altro. Per sicurezza, ho aggiunto che volevo qualcosa di leggermente disinfettante, ma niente di troppo forte e lui mi ha confermato che avevo in mano quel che mi ci voleva. Allora ho preso il mio scatolino e dopo aver pagato sono uscita. Mi sono ritrovata fra le dita un cubetto di plastica rosa, con un tappo triangolare a lustrini che andava sollevato per arrivare al contagocce regolare. Lo tengo di fianco al computer mentre vi scrivo, e non smetto di stupirmene: "da donna”, sciocca che sono, ovviamente voleva dire rosa. Perché queste sono le terre che non sembrano essere state visitate da nessun altro tipo di definizione della femminilità. Le ragazze parlano con la voce acutissima, tanto che a volte non si riesce nemmeno a capire cosa dicano: sull’autobus dall’aeroporto tutt’a un tratto sono sobbalzata quando una specie di squittio pre-registrato m’informava del nome della stazione successiva, e fino a che non l’ho vista scritta alla fermata non sapevo dove fossimo. Taiwan, in parte per la fortissima influenza giapponese, è il luogo di cultura cinese decisamente più affetto da quest’idea di come deve essere una donna: parlare con voce molto acuta, essere davvero magra, ma assolutamente senza muscoli, e camminare in modo un po’ goffo, come una bambina ancora incerta sulle gambe. Così, pochi giorni fa, in un ristorante di spaghettini in zuppa, ero rimasta fra l’esasperato e l’ammirato davanti a quella che mi sembra essere una nuova sotto-cultura femminile: due ragazze truccate, vestite "carine”, in tutto e per tutto uguali al cliché desiderato, entrate a grandi passi decisi, che parlavano a voce fortissima senza curarsi degli acuti, con più parolacce al minuto del peggior marinaio. Parlavano dei loro colleghi, delle loro opinioni sugli spaghettini, di conoscenti comuni, ed erano una forza della natura, insopportabili e benvenute allo stesso tempo.
In Cina, le cose sono diverse: gli anni del maoismo avevano pubblicizzato l’immagine dell’eroina rivoluzionaria con il fucile, però poi alle donne non era mai stata data la stessa paga degli uomini. Nella propaganda ufficiale le donne sono un po’ meno bambine troppo cresciute, ma il sessismo non per questo diminuisce: sui siti web dei giornali cinesi, per esempio, la quantità di foto di pornografia soft è ogni volta una sorpresa: ora c’è la foto-gallery dei seni più grossi, ora le attricette in mutande molto piccole, e valanghe di foto con protagoniste non-cinesi che, si sa, queste straniere hanno la morale un po’ discutibile. Prima che diciate: "Ah, ma anche qui tette-e-culi neanche piovessero!” ricordatevi che parlo di siti web di giornali governativi altamente censurati, quindi non è affatto la stessa cosa.
Le donne rivestono svariati ruoli pubblici, ma poi a ogni grosso evento servono solo da decorazione, con una precisione che annichilisce. Per i congressi politici sono tutte in divisa, solitamente rossa, dopo essere state selezionate fra migliaia di candidate affinché abbiano la stessa altezza e corporatura, e poi viene loro insegnato come sorridere mostrando il numero massimo previsto di denti (otto), a quale altezza devono avere il mento, nonché strette istruzioni affinché i gomiti non si allontanino mai troppo dalla vita, che sarebbe sguaiato. E, così addestrate, portano il tè ai delegati, per lo più uomini, che deliberano. Agli auto-show, invece, si spalmano in costume sulle automobili, mentre le mamme e le riviste femminili ammoniscono a non sbandierare troppo i propri successi perché altrimenti si resta zitelle. Le bambine però se ne vanno regolarmente in giro vestite da ballerine, in una marea stomachevole di rosa pastello. Nella Cina ruggente della crescita economica i modelli commercializzati sono quelli più desiderabili, dato che l’equazione commercio uguale successo è profondamente interiorizzata, e se l’industria spinge bimbe rosa come pacchetti di caramelle alla fragola, le famiglie, oggi moderne "consumatrici” confusamente alla ricerca di un’identità, si adeguano delegando ad altri il compito. E così, eccomi qui anch’io, con il mio elegante collirio da borsetta, che posso solo sperare voglia contribuire a rendermi delicatamente femminile. Magari mi fa anche passare l’irritazione agli occhi, chissà.
laria Maria Sala