Philip Golub, del comitato editoriale di Le Monde Diplomatique, è professore di Relazioni Internazionali presso l’Università di Parigi 8.

Tu sostieni che quella in Iraq è una guerra “sperimentale” fallita, puoi spiegare?
In Iraq il governo degli Stati Uniti, l’amministrazione Bush, ha lanciato quella che io chiamo appunto una “guerra sperimentale”. Sperimentale sul piano strategico, ma soprattutto rispetto all’idea di poter così attuare una trasformazione politica della situazione in Medio Oriente, nel Golfo, e nel mondo arabo in generale. Una guerra ideata fin dall’inizio per concretizzare una nuova teoria utopica, in base alla quale sarebbe possibile operare una trasformazione sociale attraverso l’uso della forza.
Come ormai sappiamo questa guerra era stata pianificata molto tempo prima dell’11 settembre, che ha semplicemente creato le sue condizioni di possibilità, istituzionali e politiche, all’interno degli Usa.
Ora, se guardiamo agli obiettivi strategici di questa guerra sperimentale rispetto ai risultati conseguiti, possiamo vedere chiaramente, e c’è voluto assai poco tempo per capirlo, che tutti i maggiori obiettivi strategici sono stati disattesi. Tutti.
L’obiettivo militare sperimentale è fallito, perché la guerra ha mostrato i limiti di un intervento rapido e altamente tecnologizzato nello stabilizzare una situazione postbellica. Puoi inviare truppe, gli Usa possono sbaragliare qualsiasi regime del Terzo Mondo -questa non è una novità- e però queste forze sono assolutamente insufficienti e inadeguate per gestire il dopo, ovvero la ricostruzione, la normalizzazione, la creazione di una forza di polizia, di un’amministrazione civile e così via.
Quindi sul piano militare, questa guerra sperimentale è fallita.
Dato ancora più significativo, questa guerra è fallita sul piano politico. Il principale obiettivo politico era infatti di mettere in scena una sorta di dimostrazione di potere, tale da sottomettere la resistenza nel Golfo, ma anche nel mondo arabo in generale, al potere regionale e globale degli Usa. Questa stessa messa in scena doveva poi servire per mandare un messaggio ai cosiddetti Stati Canaglia, ma anche alla Cina, alla Russia, al mondo intero: gli Stati Uniti non esiteranno a prendere iniziative strategico-militari per tutelare la propria sicurezza nazionale.
Allora il primo scopo politico era di fare una sorta di dimostrazione globale del potere americano.
Se però guardiamo ai risultati, sembra che gli Stati Uniti abbiano dato invece una dimostrazione di potere arbitrario, che infatti sta alienando all’America il resto del mondo…
E questo è incredibile pensando al credito guadagnato dopo l’11 settembre. Dopo l’11 settembre tutto il mondo aveva espresso simpatia e solidarietà per gli Usa. Un livello di simpatia soggettivo che oggi è stato completamente eroso.
Il secondo obiettivo politico, più ristretto, ma di nuovo ampiamente utopico, era di sbarazzarsi delle dittature (quelle deboli) regionali. Gli Usa avrebbero così potuto riconfigurare -questa l’espressione usata- gli equilibri politici nel mondo arabo, creando così le condizioni per una pace duratura tra Israele e i paesi arabi (faceva parte dell’agenda dei neoconservatori), ma anche per porre pressioni sulla Siria, la Persia, l’Iran, la Libia e altri, Egitto e Arabia Saudita inclusi, al fine di trasformare le dinamiche regionali a favore dell’America.
Anche questo obiettivo è fallito completamente.
Invece di riconfigurare le relazioni regionali, l’America ha aumentato il caos nell’intera regione.
Il terzo obiettivo politico, quello di insediare elementi della democrazia americana in Iraq, credo non abbia bisogno di grandi commenti: sta collassando sotto i loro occhi.
Allora, tutti i principali obiettivi degli Usa sono falliti. Dalla strategia globale al contesto specifico dell’Iraq, non un solo obiettivo è stato raggiunto.
In un tuo recente intervento hai parlato di uno stato di panico nell’amministrazione Bush in seguito allo scandalo delle torture, dove il dato più preoccupante è la perdita di credibilità e legittimità dell’America…
I fattori soggettivi hanno un ruolo molto importante nelle vicende internazionali. Non conta solo l’oggettiva configurazione del potere, il numero di tanks e missili. L’influenza che un potere egemonico globale può avere sul resto del mondo dipende anche dalla legittimità, o dalla percezione di legittimità.
Durante la guerra fredda gli Usa avevano ottenuto una legit ...[continua]

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