Sono arrivata in Italia 5 anni e mezzo fa per seguire dei corsi al Polimoda a Firenze con l’idea di fare la stilista e infatti mi sono specializzata nel design calzaturiero, ma una volta terminati gli studi non c’erano molte occasioni, forse la crisi iniziava a farsi sentire. Così ho iniziato a fare tanti lavori per potermi mantenere, dalle pulizie in un campeggio all’assistenza domiciliare a persone anziane e con handicap -sia privatamente che con una cooperativa. Ma il mio desiderio era quello di lavorare nell’ambito della moda e per le cose che avevo studiato.
All’inizio avevo pensato a un’attività di semplice esportazione di prodotti artigianali che vengono fatti in Colombia, e insieme a mia sorella abbiamo iniziato tre anni fa a organizzare questa attività. In Colombia è molto difficile che qualcuno voglia organizzare un’attività di esportazione, soprattutto se non ha grosse dimensioni, per via del narcotraffico. Infatti tutta la merce che esce dalla Colombia si ferma per molto tempo alla dogana per controllare se c’è la droga. Il personale apre tutta la merce e la controlla, e spesso succede che in questa fase ci sia del personale corrotto che aiuta i narcotrafficanti mettendo la cocaina nelle spedizioni, dando indicazione del volo e siglando i pacchi a dei complici che così possono recuperarla a destinazione. Quindi le persone semplici, i piccoli artigiani hanno molta paura a spedire in proprio i loro prodotti. Per questo motivo, volendo aprire una attività di export ho dovuto aprire una ditta a mio nome a Bogotà e con l’aiuto di mia sorella ho iniziato a importare questi lavorati.
Io e mia sorella ci siamo occupati di ogni aspetto: dall’acquisto dei prodotti dagli artigiani locali, alle faccende burocratiche, come i timbri, che accompagnano ogni fase: la raccolta dei prodotti, la lavorazione, il deposito e infine la spedizione. Durante l’avvio di questa attività ho iniziato a vedere alcune cose in modo diverso. Ad esempio iniziava a essere difficile “aspettare” i tempi dell’artigiano rispetto alle richieste che ricevevo qui; mi sono resa conto inoltre che molti prodotti che importavamo erano realizzati con la tagua -un avorio vegetale che viene usato come materiale per statuine, ninnoli, bottoni. E’ una delle nostre materie prime. Infine pensavo spesso alla situazione del mio paese e alla mia città, Bogotà, alla sua miseria.
Nel frattempo mia sorella che si è laureata più di 30 anni fa in Economia Aziendale si è rimessa a studiare per aggiornare le sue conoscenze che non aveva più esercitato perché impegnata nella cura della famiglia. All’università ha conosciuto questo ragazzo che si chiama Alexander, ha 27 anni, e aveva appena messo su una cooperativa con ragazzi di strada.
A Bogotà ci sono questi corsi fuori dalla laurea e lui che è laureato in Arti Classiche si stava specializzando in oreficeria. E’ stato un incontro molto bello perché quando si sono conosciuti mia sorella gli ha raccontato quello che stavamo facendo, del mio tentativo di far conoscere la tagua qui in Italia e all’inizio era molto scettico: “Sì, la tagua. Come pensi che possa interessare un materiale così?”, “No, ma guarda che lei ha fatto una ricerca in Italia, ci sono molte possibilità al riguardo”. Fatto sta che siamo riusciti a convincerlo.
La cooperativa si è così orientata verso la lavorazione di questo prodotto. Al momento ci sono 60 ragazzi che si impegnano a frequentare un corso di due anni per acquisire le competenze tecniche e anche creative, ma anche le conoscenze base per la gestione di una impresa perché sono loro a disegnare i modelli che poi lavorano e sono loro a dover gestire il tutto insieme a mia sorella e Alexander.
Non sempre è facile perché sono ragazzi che vengono da storie di violenza, che non sono facile da gestire: sono seguiti da psicologi e operatori sociali. Spesso abbiamo problemi, anche abbastanza grossi: magari arrivano e non hanno mangiato per due giorni, o forse hanno picchiato qualcuno, lavorano lì e poi tornano alla favela, Alexander li segue anche fuori. L’idea di base è quella di restituire la dignità con il lavoro e la scuola, se loro imparano e sanno fare un prodotto, qualcosa che può farli lavorare e quindi guadagnare dei soldi per poter vivere, forse possono uscire dalla situazione violenta in cui si trovano. La cooperativa si divide in due momenti che non sono così separati: la scuola biennale e ...[continua]
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