Enzo Rullani, economista, è docente di Strategia d’Impresa all’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Come si spiega la “forza” di Berlusconi, a maggior ragione se si dà per scontata una certa delusione per i risultati dei cinque anni?
Dopo le elezioni tutta una corrente di riflessioni si è incentrata sulla cosiddetta “questione settentrionale”. La questione è mal posta perché non si tratta di una differenziazione geografica, e quindi culturale, del paese. Al centro c’è un altro problema, molto diverso, che è quello della mancata modernizzazione della sinistra e la sua conseguente ridotta capacità di attrazione sui centri produttivi moderni. E’ chiaramente una questione dalla valenza nazionale, che esiste anche a Roma, in Emilia Romagna, dove però viene compensata da altre cose, da un bagaglio storico di appartenenza che in qualche modo resiste a tutto, da una buona amministrazione, eccetera. E quindi lì il problema non appare, non emerge. Negli altri posti, invece, come il Veneto, la Lombardia, anche il Piemonte della crisi del fordismo Fiat, dove la sinistra non aveva credenziali anticipate e doveva attrarre o recuperare a sé i nuovi centri produttivi (che sono la modernità del sistema italiano) la sua capacità di attrazione appunto è stata nulla. Ma questo non deve meravigliare, perché in fondo il gioco, anche in negativo, di questi cinque anni è stato che la sinistra ha vissuto di rendita sul fatto che Berlusconi deludeva le attese e quindi creava comunque uno spostamento di consensi. Vivendo di rendita sull’antiberlusconismo non si è posta problemi che già dieci anni fa erano evidenti.
La sinistra non ha ancora cominciato a definire se stessa in un mondo postfordista. Si spera che prima o poi lo farà. Fondamentalmente le sue idee sono ancora inscritte in un universo di rapporti produttivi centrati sullo stato fordista, sulle grandi corporation, sull’organizzazione delle grandi rappresentanze di lavoro standardizzato, di lavoro di massa mentre il mondo pian piano è cambiato, non è più così. Di conseguenza i nuovi soggetti che emergono si fanno rappresentare, nel bene e nel male, in altri modi, magari anche un po’ improvvisati. Il leghismo, per esempio, è frutto anche di un vuoto. Lo stesso discorso vale per Berlusconi, che è stato una proposta politica più populista che di destra, e questo populismo ha trovato i suoi aderenti in tutta una serie di interessi che non vedevano un’alternativa più strutturata, più pensata, più duratura, e quindi hanno preferito chi prometteva vantaggi spiccioli e a breve termine, piuttosto che una sinistra che non prometteva niente.
Alla fine la sinistra ha perso la sua capacità di sognare il futuro, è questo il punto. E per un movimento politico che per definizione è volto al cambiamento del sistema, al disegno del futuro, ai sogni da realizzare, perdere il segno del futuro per diventare solo segno della saggezza o dell’ordinaria amministrazione (di quelli che non rubano e però comunque non fanno niente di straordinario, aggiusteranno il marciapiede) è la fine. Se non è capace di ricentrare la sua proposta sul futuro, quindi su un sogno, e il suo desiderio è il mero ritorno verso il passato -che tutti capiscono essere un’opzione impossibile- la sinistra è finita.
Quindi questa immagine di conservatorismo, questa proposta, in fondo, di puro “buon governo” che la sinistra dà, è proprio quella che passa e che la fa perdere…
Passa anche perché alla fine Berlusconi chiama l’antiberlusconi. Il fatto che il gioco anche comunicativo sia andato come voleva Berlusconi, ha condannato la controparte a diventare l’antiberlusconi, a contrapporre al governo dell’improvvisazione, il governo, tra virgolette, della serietà, con tutto il grigiore che questo comporta. Ma in questo modo la capacità di attrarre chi in qualche misura era diffidente verso la proposta della sinistra fin dall’inizio diventa ancora più scarsa. Può funzionare al centro dove non c’era diffidenza, ma è una fiducia di vecchia data. Alla fine le proposte del centrosinistra erano tutte redistributive. La riduzione di cinque punti del carico contributivo, che è stata al centro della campagna elettorale, è una proposta redistributiva. Vuol dire prendere i soldi da alcuni e darli a qualcun altro. Ora, sarà giusta, non sarà giusta, ma certo è difficile attirare consensi se tutti poi pensano che non saranno tra quelli che ne beneficiano ma tra quelli che ci rimetteranno. Il fatto è che la sinistra non può ridur ...[continua]

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