In un laboratorio della Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino viene lavorato un caffè speciale, che contribuisce a riabilitare i detenuti e fa vivere meglio i campesinos sudamericani. I produttori, in Guatemala, sono indigeni di discendenza Maya riuniti in consorzi di cooperative (Asdecohue e Acodihue) e depositari di una secolare tradizione di coltivazione e raccolta artigianale del caffè. Pausa Cafè ha riunito queste diverse realtà -il carcere e le cooperative Maya- per dare vita ad un progetto di “globalizzazione solidale”, dalla produzione, al trasporto, alla lavorazione del caffè. Questa iniziativa fin dall’avvio ha riscosso forte interesse, oltre al sostegno di Slow Food e Coop, ha ricevuto un riconoscimento economico da un consorzio di produttori vitivinicoli della zona del Barolo, e continua a crescere coinvolgendo nuovi soggetti, come i ragazzi della scuola torinese per arti grafiche G. B. Bodoni incaricati, attraverso un progetto Coop, di creare gli slogan e disegnare le confezioni da utilizzare, per davvero, per la vendita del prodotto fra gli scaffali dei supermercati. Luciano Cambellotti (cambelluciano@libero.it), è vicepresidente della cooperativa “Pausa Cafè” (www.pausacafe.org), Torino.

Avremmo dovuto avere con noi anche Marco Ferrero, presidente della cooperativa Pausa Cafè. Puoi raccontarci dov’è in questo momento?
Il nostro presidente è in Guatemala, nella regione di Huehuetenango dalla quale arriva il caffè. Marco sta tenendo i contatti direttamente con i produttori, che per noi non sono solo “quelli che ci forniscono il caffè”, ma anche i nostri soci. Non lo sono ancora a tutti gli effetti, ma lo diventeranno presto: è nelle nostre intenzioni costituire un consorzio tra le cooperative dei produttori in Guatemala e Pausa Cafè in Italia.
Vogliamo e tentiamo di essere direttamente associati con i produttori, perché pensiamo a loro non solo come interlocutori commerciali cui riconoscere un prezzo equo. Vogliamo anche coinvolgerli in tutta la filiera produttiva, che va dalla coltivazione del caffè alla vendita al dettaglio. C’è un accordo commerciale con loro e c’è una peculiarità nel nostro statuto per cui la metà degli utili della vendita torna all’origine, in Guatemala. In sostanza, noi riconosciamo il prezzo del caffè secondo gli standard del commercio equo e solidale, come definito dal consorzio internazionale Fair trade. Oltre a questo ci sono un premio economico aggiuntivo per la qualità del prodotto e la metà degli utili derivanti dalla vendita finale. In questo modo siamo tutti coinvolti nell’intero progetto: più facciamo insieme un buon lavoro e più riusciamo a vendere caffè, che vuol dire andare bene dal punto di vista commerciale e recuperare maggiori risorse.
Com’è nata questa iniziativa?
L’idea nasce dall’incrocio di due diverse esperienze: quella di Marco Ferrero con le Organizzazioni non governative internazionali e quella nel campo del recupero sociale negli istituti di pena, a cui faccio riferimento io.
Con Marco ci conosciamo dal 1988-89, quando eravamo obiettori di coscienza. Ci siamo poi incontrati anche in altre occasioni, fra le più rilevanti alcune marce della pace a Sarajevo, durante la guerra dei Balcani. Marco ha vissuto a Sarajevo per alcuni anni, per coordinare gli aiuti dell’Unchr per la ricostruzione, poi, quattro anni fa è entrato nel Mais (Movimento per l’Autosviluppo, l’Interscambio e la Solidarietà, ndr), una Ong con sede a Torino e con un programma di lavori in Sudamerica. Proprio per coordinare uno di questi progetti Marco è stato in Guatemala per due anni e mezzo, nella zona di Huehuetenango, un’area in mezzo alle montagne, nel nord, al confine col Messico.
Io, invece, ho diverse esperienze di lavoro con cooperative sociali. Dal 1999 ho cominciato a seguire progetti per i penitenziari, in particolare gli inserimenti lavorativi dei detenuti all’esterno del carcere, prima a Ivrea poi a Torino per il consorzio Kairos, associato al Consorzio nazionale Gino Mattarella, la realtà di cooperative sociali più importante d’Italia. Una nostra cooperativa aveva aperto una bottega del Commercio equo e solidale, avviando anche un progetto d’importazione di prodotti artigianali dal Cile, progetto chiuso dopo pochi mesi. Attraverso quest’esperienza mi rimisi in contatto con Gigi Eusebi, un amico che si occupava dell’eticità dei progetti per la Ctm Altro-Mercato (la principale centrale d’importazione di prodotti del commercio equo e solida ...[continua]

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