Prendo la cosa un po’ da lontano e, innanzitutto, premetto che non uso la parola “olocausto” perché è un termine religioso, che dà una sorta di cornice provvidenzialistica: è un po’ come se il brutale sterminio diventasse qualcos’altro nel momento in cui entra in una prospettiva in qualche modo religiosa. Preferisco parlare di sterminio.
Dicevo che prendo la cosa da lontano, perché mi sono trovato in una situazione minima, che però tocca il tema di cui stiamo parlando, qualche anno fa al Salone del libro a Torino. Ad un certo punto sono venuti a dirmi che c’erano i libri di una piccolissima casa editrice che pubblicava i testi dei cosiddetti storici revisionisti -quando si parla di revisionismo, bisognerebbe precisare: una cosa è Nolte e un’altra sono i negatori puri e semplici dello sterminio come Faurisson e Irving- e mi hanno chiesto una firma per un appello agli organizzatori per espellere questi espositori. Firma che io ho dato. Penso che se me la richiedessero forse la ridarei, ma è un tema su cui ho delle incertezze. Penso che sia un problema di modi e di tempi per evitare la provocazione, perché non c’è dubbio che questa gente cerchi la provocazione. Ora, all’estremo opposto, abbiamo la posizione di un ebreo come Chomsky, per il quale un Faurisson ha diritto di esporre in qualunque momento le sue tesi. Scrivendo la prefazione ad un libro di quest’ultimo, in cui fra l’altro dichiara di non averlo neanche letto, Chomsky afferma che, per principio, Faurisson può esprimere qualunque idea. Io trovo questa posizione di Chomsky sbagliata e leggera; se non altro avrebbe dovuto leggere il libro. Battersi per il principio secondo cui chiunque, e dovunque, possa esprimere qualunque tesi non mi pare responsabile. Per citare un altro caso che tocca la libertà di stampa, io non sono per l’esposizione della pornografia dovunque e comunque a chiunque. Per esempio, non credo giusto esporre ai bambini immagini pornografiche di carattere sadico. Non sono per una libertà di stampa indiscriminata. Credo giusto che ci siano dei limiti, limiti che possono e debbono essere posti sulla base del contenuto di cui si tratta. Una menzogna può contenere un elemento intollerabile per molte persone, che possono essere state toccate nei loro rapporti familiari dallo sterminio o che, pur non avendo legami di parentela con persone uccise, possono trovare tutto questo insopportabile.
Certo, questo pone problemi difficili e delicati. Chi deve decidere? Tuttavia il fatto che il problema sia difficile non toglie che la tesi della libertà di stampa indiscriminata non sia, a mio parere, giusta.
C’è poi un problema non già di principio, ma di opportunità politica: come rispondere alla provocazione cercata da queste persone. Ho letto un’intervista di Miriam Mafai a Irving, un’intervista inquietante perché Mafai viene indicata come mezza ebrea e poi trova, tornando a casa, stampa neonazista nella buca delle lettere. Insomma, come dicevo, si cerca la provocazione. Allora, che cosa è meglio: farli parlare o non farli parlare?
C’è infine un terzo problema, più circoscritto, ma delicato: quanto rilievo bisogna dare a queste figure, come rispondere a questo tipo di tesi?
Credo che sia giusto dare loro un certo rilievo, perché queste tesi, nella situazione che s’è creata in Europa negli ultimi anni, non sono patrimonio di alcuni pazzi squinternati, ma hanno un potenziale esplosivo di cui bisogna rendersi conto. Dopo l’89, cioè dopo la caduta del comunismo nei paesi dell’Est, è all’ordine del giorno il problema di un antisemitismo senza ebrei, perché si tratta in alcuni casi di paesi dove non ci sono più ebrei. Per fare degli esempi, in Polonia, che conta ormai poche migliaia di ebrei, s’è fatto in passato dell’antisemitismo sotto la veste dell’antisionismo; ma anche in Austria esiste un antisemitismo praticamente in assenza di ebrei. La componente fantasmatica, nel caso dell’antisemitismo, è così forte che non ha nemmeno bisogno della presenza degli ebrei. Allora queste tesi hanno una sorta di valenza politica che può essere usata comunque ed è giusto dare loro un certo rilievo. Ma una volta d ...[continua]
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