Giorgio Lunghini è professore ordinario di Economia Politica presso l’Università di Pavia. E’ autore di scritti in tema di storia e critica delle teorie economiche, di teoria del valore, del capitale e della distribuzione, di teoria della crescita e della disoccupazione.

Come si è arrivati a questa crisi?
E’ una storia abbastanza lunga. Molti pensano che si tratti di una bolla finanziaria esplosa con una crisi sui mercati azionari. In realtà credo che questa sia l’ultima, per il momento, fase di una crisi che aveva colpito gli Stati Uniti da molto tempo e che era stata rinviata grazie a provvedimenti sostanzialmente di Greenspan, allora governatore della Federal Reserve che era riuscito a spostare via via la crisi da un mercato all’altro.
Il contesto nel quale queste crisi nascono e hanno questo epilogo è naturalmente quello della globalizzazione. La globalizzazione era stata vista a lungo come un fenomeno positivo che avrebbe portato prevalentemente benefici e questi benefici avrebbero riguardato un po’ tutto il mondo. Così non è.
La cosa importante da mettere in luce è che la globalizzazione è stata a sua volta un tentativo di reagire e di contrastare crisi precedenti, come già era successo con la globalizzazione degli anni ’15-20, a cui seguì la crisi del ’29 e dei primi anni Trenta. La crisi alla quale questa globalizzazione ha cercato di reagire è la crisi del modello fordista, che a sua volta era stato una reazione -prima americana poi europea- alla crisi degli anni Trenta.
Una volta che il modello fordista si è esaurito, la strada che il capitalismo americano ha intrapreso è stata quella di questa globalizzazione.
Che cos’era il fordismo? Era un sistema economico e sociale centrato fondamentalmente sulla produzione di beni di consumo durevole, di massa, e cioè un tipo di produzione che richiedeva grandi investimenti, che generavano occupazione, che avevano orizzonti temporali lunghi e che consentivano, anzi esigevano, alti salari. Il primo che si era accorto di questo era stato Gramsci, nelle pagine su americanismo e fordismo.
Alla crisi dei primi anni Trenta la risposta europea furono fascismo e nazismo, la risposta americana invece fu progressiva e democratica (pur con qualche aspetto di tipo coercitivo-autoritario). Naturalmente un tipo di organizzazione economica e sociale di quel genere non può durare in eterno, per la semplice ragione che i mercati che producono televisori, lavatrici, automobili, ecc. a un certo punto si saturano e i mercati di sostituzione non garantiscono sbocchi altrettanto importati di quelli del fordismo nella sua prima fase. Dunque ricerca di nuovi mercati, non nazionali. Tra parentesi, la naturale ricerca, da parte del capitale, di altri mercati è una cosa che Marx aveva già capito.
Comincia così questa fase di globalizzazione governata soprattutto dai grandi organismi internazionali, dominati dagli Stati Uniti, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l’Organizzazione per il Commercio e via dicendo.
Già lì si comincia a vedere che i benefici non sono per tutti perché la globalizzazione ha portato prima di tutto a una forte crescita delle disuguaglianze, nelle disuguaglianze fra paesi e nelle disuguaglianze all’interno dei paesi -l’Italia è tra questi. In Italia negli ultimi dieci anni la quota dei profitti rispetto a quella dei salari è cresciuta di una decina di punti e questo si potrebbe dire per tutto il mondo e per tutti i paesi. Naturalmente la globalizzazione richiede una qualche attività. La prima attività a cui si rivolge l’economia americana è la cosiddetta new economy, computer, grandi reti, e via dicendo. Con errori clamorosi di programmazione che portano a sovrainvestimenti e conducono molto rapidamente alla crisi della new economy.
Ora, grazie ad interventi del tipo che ho ricordato prima, cioè di tipo monetario, con Greenspan in particolare, la crisi che minacciava di esplodere nel campo della new economy viene spostata nel campo della borsa.
Negli anni Ottanta c’era già stato, come è noto, un crollo delle borse americane, e in parte di quelle degli altri paesi, non minore di quello attuale. Anche lì per evitare che la bolla scoppi definitivamente, le autorità monetarie -ancora Greenspan- riescono a spostare i rischi di questa crisi sul mercato immobiliare. Quindi esplosione del mercato immobiliare fino a quella strategia tra l’irragionevole e il colpevole di “una casa per tutti”. Slogan che piace moltissimo a tu ...[continua]

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