Aris Accornero insegna Sociologia industriale presso l’Università di Roma “La sapienza”; insieme a Tiziano Treu e Cesare Damiano ha fondato Eli, EuropaLavoroImpresa. Ha pubblicato, tra l’altro, Era il secolo del lavoro, Il Mulino 1997; insieme a A. Orioli L’ultimo tabù. Lavorare con meno vincoli e più responsa­bilità, Laterza 1999; San Precario lavora per noi, Rizzoli, 2006.

Lei è stato chiamato circa un anno fa a tenere la relazione introduttiva alla Conferenza operaia del Partito Democratico…
Sì, devo dire che non aderisco al Partito democratico e penso anch’io che sia nato un po’ più verso il centro di quanto non fossero i Democratici di sinistra e proprio partendo da questo giudizio ho molto apprezzato che abbiano deciso di fare una conferenza operaia. Possiamo dire anche che questa bella idea è stata ovviamente stimolata, come altre attenzioni rivolte agli operai, dall’impennata di infortuni, soprattutto dal caso della Thyssen Krupp, che ha riportato gli operai a una visibilità negativa. Tutti, tra dicembre e gennaio, hanno tristemente convenuto che la condizione operaia presenta tuttora una esposizione al rischio che solo il lavoro manuale ha, e questo, diciamo, è un fattore connotativo che non veniva più osservato, al punto da non considerare come una ragazza possa tener conto del fatto che se si accinge a sposare un operaio anziché un impiegato, con ciò stesso la loro vita presenta prospettive diverse. Questa esposizione al rischio del lavoro manuale non era mai stata messa in evidenza così bene, come in seguito alla presa di posizione di Giorgio Napolitano, il presidente della repubblica, che sin dal suo insediamento o poco dopo, quando si ebbe un caso di infortunio mortale plurimo, fece in modo che ci fosse questo memento, anche suo, continuo, verso la coscienza collettiva degli italiani. Questo è, credo, il motivo principale per cui il Pd ha fatto la scelta di fare una conferenza operaia, che devo dire è andata molto bene, un’iniziativa che ha riaperto il dialogo fra sinistra e lavoro.
Dunque, gli operai. Cosa sta succedendo?
Intanto diciamo che alla fine del 2007 per la prima volta gli occupati dell’industria hanno superato i sette milioni, il che, come ho detto anche lì a Brescia, corregge un bel po’ l’idea che ci sia una continua e perniciosa riduzione degli operai. Piuttosto va detto che c’è una non perniciosa e continua crescita degli occupati nei servizi. Adesso i servizi sono esattamente il doppio dell’industria, ma non a spese dell’industria. Tutta l’occupazione “aggiuntiva” è stata nei servizi, ed è avvenuta a spese dell’agricoltura. L’industria è cresciuta; l’Italia, con la Germania, ha la quota di industrie più alta in Europa. Quindi questa idea di deindustrializzazione, e tanto più di deoperaizzazione, è falsa, è smentita dai dati. Sette milioni di occupati nell’industria, quindici milioni nei servizi, un milione in agricoltura, questa è la dimensione sociale del lavoro. Qualcuno può continuare a dire che il lavoro operaio è un residuo, ma insomma, è vero che il lavoro di produzione è la metà del lavoro di servizio, ma nel ’71 c’erano sei milioni di occupati nell’industria, adesso sette. Questa geografia dei settori dove c’è il lavoro è importante averla ben presente, perché sennò si dicono un sacco di cretinate, come quella per cui la stessa riduzione quantitativa degli operai mina la presenza del sindacato, mina il futuro della sinistra, riduce le istanze anticamente operaie nella tematica dei desideri e delle rivendicazioni. Non è così. Invece le cose che vanno dette, fra le tante, sono almeno due. Una è: come e dove sono gli operai?
Anche questo si ritiene che sia noto, ma sempre solo in parte. E’ noto il fatto che le grandi concentrazioni operaie, le cittadelle industriali, le fortesses ouvrières come le ha chiamate un sociologo francese, nella quasi impossibilità di rimpicciolire, chiudono: Sesto San Giovanni, la Lingotto, a Milano la Bicocca, Bagnoli a Napoli, e quindi la manodopera sparisce, si disperde, viene traslata ai servizi oppure viene pensionata.
Ecco, questa, più che per una disaffezione di merito, è la primissima causa di indebolimento del sindacato: per i sindacati è più difficile trovare gli operai. In tutto il mondo le unità produttive tendono a diminuire di dimensione, sempre, anche se i gruppi industriali di cui fanno parte crescono. Se si va davanti a una di queste unità produttive, oggi si trovano 100 persone dove ieri se ne trovavan ...[continua]

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