Andrew Arato, docente di Teoria Politica alla New School di New York, ha pubblicato, tra l’altro, The Occupation of Iraq and the Difficult Transition from Dictatorship (2003). E’ in corso di pubblicazione, per la Columbia Press, Constitution Making Under Occupation: The Politics of Imposed Revolution in Iraq.

Possiamo partire dal Medio Oriente. Più di qualcuno ha visto un legame tra il tempismo dell’offensiva israeliana a Gaza e l’insediamento del Presidente Obama…
C’erano probabilmente molte ragioni per cui il governo israeliano ha deciso di intraprendere questa operazione in quel momento. C’erano le elezioni in Israele, ma sicuramente c’era anche l’insediamento dell’Amministrazione Obama; era l’ultima chance per fare qualcosa con Bush e al contempo lanciare un messaggio al Presidente eletto. Ora sta a Obama rispondere a quel messaggio. Certo Israele ha cercato di influenzare fortemente la politica americana e quindi ora sarà interessante vedere cosa succede, in particolare quanto Obama sarà disposto a lasciarsi influenzare da Israele. Oggi, sul New York Times ci si chiedeva infatti se Obama continuerà nel tentativo di isolare Hamas, che a mio avviso non porta da nessuna parte, o se spingerà per un governo palestinese di unità nazionale che sarebbe sicuramente una soluzione più efficace. Di nuovo, vedremo quale sarà la scelta fatta.
Obama, personalmente, è un realista, ma molti del suo entourage sono piuttosto filo-israeliani, come Rahm Emanuel o la stessa Hillary Clinton, per cui non so, Susan Rice, d’altra parte, è più equilibrata, insomma vedremo se prevarrà una posizione più “realistica” che oggi per me significa una posizione maggiormente favorevole ai palestinesi.
Nel suo discorso di insediamento Obama ha teso una mano al mondo musulmano…
Sì, l’ha detto ed è stata una cosa buona. Come pure il fatto che la sua prima telefonata sia stata fatta a Mahmud Abbas, prima che a Olmert, prima anche che al re di Giordania o a Mubarak. E’ un segnale importante. In primo luogo ha espresso il suo interesse per la regione e in secondo luogo ha chiamato Mahmud Abbas. Comunque, per quello che so, anche alla luce della sua amicizia con Rashid Kalidi, credo che a livello personale sia aperto. Ma al di là di questo, più di ogni altra cosa mi dà fiducia il suo pragmatismo. Da questo punto di vista, sarà un presidente diverso da quello che abbiamo avuto, non si farà guidare ciecamente da visioni ideologiche. Non credo che ci saranno motivazioni ideologiche al centro della sua politica. Sarà un vero ritorno al realismo.
Da questo punto di vista, è evidente che il comportamento di Israele, anche alla luce degli interessi americani e europei, è sicuramente pericoloso per la sicurezza di tutti. Questo tentativo di fatto di alimentare una sorta di guerra tra “noi” e il mondo musulmano è qualcosa che nessuno di noi vuole e che sicuramente neanche il presidente Obama auspica. Per questo penso che un po’ di realismo come guida alla politica estera sarà salutare.
Da anni ormai stai seguendo il processo di elaborazione di una costituzione in Iraq. A che punto siamo?
Per assurdo devo dire che la situazione è più semplice in Israele e Palestina, dove a mio avviso si tratta, da una parte, di convincere Hamas e Fatah a ricostruire un fronte comune, poi serviranno delle negoziazioni e una formula efficace: se si tenta la via dei due Stati servirà una sorta di confederazione regionale, e comunque serviranno riforme interne sia in Palestina che in Israele. Ad ogni modo, lì il quadro delle cose da fare è chiaro, per quanto sia difficile da realizzare, per la disorganizzazione che vige in Palestina e la virata a destra di Israele.
L’Iraq è in una situazione molto più critica, perché se prima era uno Stato che poteva essere riformato o trasformato, ora non abbiamo neanche più uno stato. E poi non sappiamo quali siano esattamente le controparti.
Cioè in Palestina-Israele abbiamo ebrei e arabi che devono trovare una sorta di compromesso storico nell’ambito di due Stati in una confederazione regionale; in Iraq non sappiamo da chi e da cosa partire. Davvero è difficile vedere la meta a breve termine.
Ora Obama ha promesso il ritiro. Questa è una cosa di cui essere soddisfatti, essendo però consapevoli che questo ritiro rischia di non essere di fatto così positivo, perché con il caos che vige, le tensioni tra le varie parti, la presenza di poteri locali e regionali… insomma non è detto che la situazione miglio ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!