Luigi Fiorot è responsabile relazioni sindacali presso la Cna (Confederazione Nazionale Artigianato della Piccola e Media Impresa) del Veneto.

Possiamo fare un quadro della situazione in Veneto rispetto alla crisi?
Nei primi tre mesi del 2009 i dati Inps parlano di circa 9000 lavoratori sospesi che ci fanno stimare in circa 1500 il numero delle imprese, quasi tutte artigiane, in grave difficoltà.
La prima considerazione è che in tre mesi abbiamo collezionato lo stesso numero di imprese e di lavoratori entrati in crisi in tutto il 2008.
Il Veneto è la seconda grande regione manifatturiera d’Italia dopo la Lombardia con un numero di dipendenti che non ha paragoni. La manodopera del Veneto è il 15% della manodopera italiana. La crisi internazionale poi è una crisi di domanda per cui colpisce in particolare le aziende manifatturiere e -tristemente- soprattutto quelle che hanno investito su macchinari nuovi, che si sono attrezzate, che hanno ristrutturato, che hanno innovato.
Non solo, la struttura della piccola impresa veneta rischia di essere vittima di un effetto moltiplicatore per il fatto di avere una dimensione familiare, per cui restano fuori marito, moglie, casomai figli…
Comunque non è che prima eravamo tutti ricchi, e in sei mesi siamo diventati tutti poveri; è chiaro che, se pur distribuite in maniera differente, ci sono risorse all’interno del sistema, che possono consentire di superare archi di tempo, però dipende da quanto dura la situazione.
Va anche specificato che la situazione è diversa nelle varie province. Vicenza è in assoluto è la più colpita. L’anno scorso ad essere coinvolti erano i settori manifatturieri tradizionali, tessile, abbigliamento, l’oro, la ceramica, un po’ di occhialeria, un po’ di scarpe. Da fine anno la crisi si è allargata ai settori portanti, come la meccanica, il legno, ecc. (C’è anche l’edilizia che però segue un proprio percorso perché ha la cassa integrazione guadagni ordinaria dedicata all’edilizia, per cui non rientra nel conteggio che ho fornito). Ora, la provincia di Vicenza soffre più di altre perché le piccole imprese sono prevalentemente subfornitrici di grandi realtà, le quali in questa fase hanno cominciato a ritirare le attività esterne.
Se, ad esempio, prendiamo Treviso, la differenza si nota, perché la metalmeccanica trevigiana ha aziende che lavorano meno per conto terzi, hanno un contatto più diretto col mercato, per cui, almeno finora, hanno sofferto meno il problema della mancanza di lavoro.
Resta il fatto che è una crisi significativa, perché il fatto che in tre mesi ci sia stato lo stesso volume di sospensioni dell’anno scorso per noi è una novità assoluta e molto preoccupante.
L’artigianato di che tipo di ammortizzatori sociali beneficia?
In attesa di fare la riforma degli ammortizzatori sociali con un ammortizzatore unico (indipendente dai settori di attività, dal numero dipendenti per impresa, eccetera), nel 2005 è stata introdotta la cosiddetta cassa integrazione guadagni straordinaria (Cigs) “in deroga” anche ai settori che non l’avevano, ovvero le imprese artigiane sotto i 15 dipendenti, il settore del commercio sotto i 50 dipendenti eccetera. Questi soldi vengono stanziati ogni anno con le finanziarie dello stato, e contabilmente il cassiere lo fa l’Inps.
Ora, nella nostra regione, l’ente bilaterale dell’artigianato (Ebav) già da vent’anni, grazie ai contributi mutualistici versati volontariamente da ditte e dipendenti, erogava una sorta di cassa integrazione minima ai dipendenti delle aziende in difficoltà. Tra le varie attività, infatti, ha sempre svolto un’importante funzione di welfare. Per dire, rimborsiamo spese mediche dei dipendenti, visite specialistiche, ticket, ecc. Poi ci sono i soldi che diamo alle imprese se fanno innovazione, investimenti, promozione delle attività, se fanno formazione per titolari, soci collaboratori e dipendenti. E però, appunto, svolgiamo anche questa funzione di ammortizzatore. Nello specifico, attraverso l’ente bilaterale, ai dipendenti sospesi vengono erogate per un massimo di tre mesi, delle cifre che sono attorno al 20-25% della retribuzione. Col tempo siamo riusciti ad affiancare a questo ammortizzatore improprio, “fatto in casa”, la disoccupazione (che oggi è al 60% della retribuzione) arrivando così a quell’80% che è la stessa percentuale garantita dalla Cassa integrazione.
Questo ammortizzatore è piaciuto al ministro, che dal primo gennaio 2009 l’ha inserito in una legge ...[continua]

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