Lei è originario del Sud, come è arrivato in questa scuola?
Sono siciliano. Ho cominciato a insegnare in Sardegna, a Laconi, in provincia di Oristano. Poi mi sono sposato e mi sono trasferito a Bitti, nel centro della Barbagia. Successivamente, ho fatto domanda per trasferirmi a Torino assieme a mia moglie. Siamo partiti nel 1969. Forse la mia sensibilità verso gli immigrati è dovuta alla mia storia personale, oppure è una forma di adesione antropologica. Arrivati a Torino cercavamo casa. C’erano difficoltà. Pensi che mia moglie, nelle referenze, non voleva specificare che eravamo insegnanti. Nelle ore “buche”, uscivo e cercavo casa intorno alla scuola Morelli, dove insegnavo. Avevo fatto richiesta a delle agenzie, ma sembrava che le case non si trovassero. Un giorno abbiamo avuto fortuna, c’era un appartamento che si liberava. I proprietari, la Toro Assicurazioni, prima di consegnarcelo hanno telefonato a scuola, l’ho saputo dalla preside.
Ho fatto l’insegnante per quasi cinque anni. Poi una preside -allora si succedevano con frequenza- mi propose come vicario. La scuola era abbastanza grande: 39 classi. A malincuore presi l’esonero dall’insegnamento. La preside lasciò l’incarico dopo un anno e indicò me per sostituirla. Così divenni preside incaricato. Grazie anche ad alcuni colleghi, ottimi collaboratori, riuscimmo a creare un progetto che potesse adattarsi alla realtà migratoria di Porta Palazzo, valido per tutti noi, insegnanti e allievi meridionali. Rappresentavamo veramente Porta Palazzo.
C’era molta vivacità a livello di intelligenza, ma anche a livello comportamentale. Cercavo di chiamare i ragazzi alla responsabilità personale: “Chi rompe paga”, dicevo. Ma con quelle finestre, bastava un colpo di vento e cadeva tutto. C’era un bidello falegname che aiutava molto; abbiamo fatto riparazioni. Poi riuscii a chiedere al comune -era sindaco Novelli, l’assessore era Alfieri, lo stesso di adesso- un luogo dove i miei alunni potessero fare educazione fisica, perché eravamo privi di palestra. Fu proprio Alfieri a organizzare il trasporto alla piscina Sempione: i ragazzi andavano avanti e indietro con due pullman. L’anno successivo non feci domanda per il reincarico di presidenza, anche perché occorrevano almeno cinque anni di ruolo e anche se mi mancava poco non li avevo maturati. Tuttavia, sotto il preside successivo il collegio docenti volle nominarmi vicepreside -in quegli anni era il collegio docenti che nominava i collaboratori del preside. Ci furono però divergenze sul modello educativo, regole diverse. Così feci domanda per un incarico da preside l’anno successivo e andai a Druento, un paese nella periferia Nord-Ovest di Torino. Per il paese, la scuola era un centro culturale: all’interno avvenivano dibattiti, all’esterno si lavorava in connessione con la politica comunale. Abbiamo fatto mostre legate al territorio, tanto che l’assessore, bontà sua, sentì opportuno mandare un elogio al Provveditorato. Intanto avevo fatto il concorso statale, mi dovevano assegnare la sede definitiva e fui mandato alla Pola, una scuola di Lucento Vallette, di stampo diciamo tradizionalista: si studia, si impara e basta. Però i ragazzi erano in gamba, come i docenti. Si guardava maggiormente alla formazione generale e, all’inizio, fortemente alle nozioni strumentali, quelle che servono per imparare altre cose, come le tabelline per la matematica o la grammatica per la lingua italiana. L’unica spinta che ho dato è stata verso una formazione legata anche al lavoro pratico, alla manualità. Inoltre, ho aperto la scuola a tutti: i nomadi, per esempio, non erano mai entrati. Io però la pensavo diversamente: se viene un ragazzino nomade, benissimo, questa è la scuola del quartiere e deve rispondere a tutti. Comunque ho avuto un buon aiuto, gli insegnanti mi hanno seguito, il consiglio di istituto pure, non ho mai avuto forti opposizioni. Anche le circoscrizioni aiutavano.
Al 1994 poi è giunto il momento di cambiare. Ho chiesto e ottenuto il trasferimento alla Benedetto Croce, che era una delle 32 scuole in Italia che stavano sperimentando il tempo flessibile. Già allora questa scuola usava integrare l’insegna ...[continua]
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