Franco Toscani è direttore scientifico dell’Istituto di ricerca in medicina palliativa Lino Maestroni di Cremona.

Quando si sente parlare di cure palliative, di cure di fine vita, le riferiamo sempre al cancro, forse perché sono nate con i problemi legati alla cura del paziente oncologico, ma sono molte le malattie ad esito infausto il cui decorso prevede e necessita dell’ausilio delle cure palliative. Può parlarcene?
Di cancro muore all’incirca una persona su quattro. E’ soprattutto a questa che oggi vengono offerte le cure palliative. Ma cosa succederà alle altre tre? Anch’esse dovranno affrontare un percorso verso la morte, dal momento che, in genere, si muore in seguito a malattia.
Negli ultimi anni abbiamo assistito all’aumento dell’aspettativa di vita, ma anche all’acquisizione di nuove conoscenze legate all’emergere di nuove malattie ad esito infausto. Questo ci ha posto di fronte alla necessità di occuparci anche di altri tipi di malati terminali.
Le cure palliative, è vero, sono nate intorno ai malati di cancro, e non solo in Italia, ma in altri paesi questa riflessione è iniziata prima che da noi, e quindi è andata più avanti. Attualmente in America buona parte dei malati ricoverati negli hospice hanno malattie diverse dal cancro. Da noi questo è ancora un’eccezione.
Alcuni studi fatti più o meno recentemente dimostrano che i pazienti non oncologici rappresentano una ridottissima minoranza. Chiaramente questo non riflette il bisogno reale della popolazione. Ci sono, infatti, alcune patologie, come ad esempio le malattie cardiocircolatorie, delle quali si muore anche più che di cancro. Oggi, però, la malattia cardiaca non viene percepita come "terminale”. Una volta, quando arrivava l’infarto, si moriva. Adesso, grazie alla cardiochirurgia e a cure mediche più efficaci, i pazienti vengono salvati, ma l’aver eliminato l’evento acuto ha lasciato sviluppare la malattia degenerativa cardiaca: il malato non muore più di infarto, vive ancora molti anni in buone condizioni, ma spesso finisce per andare incontro a degenerazione cronica e progressiva del muscolo cardiaco ed arriva alla morte passando attraverso vari episodi di scompenso. Stiamo parlando di una condizione di fatto causata dalla vittoria della medicina sull’evento acuto.
Analogo discorso si potrebbe fare per le malattie acute della terza età. Oggi non si muore più per una caduta (una frattura del femore una volta era pressoché fatale); si può superare una polmonite o convivere col diabete, ma magari questa sopravvivenza significa trascorrere gli ultimi anni in balia della malattia di Alzheimer. D’altra parte gli stessi malati terminali di cancro sono per certi versi "vittime” dell’efficacia delle terapie contro il cancro. Se non venisse curato, il cancro sarebbe una malattia a decorso abbastanza rapido. In passato, uno faceva giusto in tempo ad accorgersi di stare male, e nel giro di poco se ne andava. Adesso, per fortuna, la gente che si ammala di tumore anziché morire in qualche settimana, riesce a sopravvivere, a volte molto bene, per anni ed anni. Anni comunque di cure e terapie. E, a morire, impiega mesi.
In relazione alle cure palliative i diversi modi (e tempi) con cui malattie diverse portano alla morte è di importanza cruciale, dal momento che la forma con cui si sviluppa la fase finale pone problemi assolutamente diversi e specifici. Ad esempio, nell’evoluzione della malattia cancro, l’inizio della fase finale -la cui durata è di circa sei mesi- è caratterizzata da un peggioramento progressivo e costante delle condizioni generali, fino al decesso.
Se osserviamo invece un paziente con una malattia cardiaca degenerativa, assistiamo a un andamento molto diverso, caratterizzato da discontinuità: ad un certo punto, questi va incontro ad un episodio di scompenso, sta molto male, quasi per morire, ma a quel punto in pronto soccorso gli somministrano diuretici e cardiocinetici, e torna a stare bene, quasi come prima, ma poi ha un’altra crisi, dalla quale esce ancora, in condizioni generali sempre più compromesse ma assolutamente migliori di quanto erano durante la crisi; poi un’altra e un’altra ancora, e via così fino a quando si presenta quella da cui non uscirà più. Lei capisce che l’andamento è molto diverso. Se rappresentiamo in una curva i due diversi andamenti, questa differenza risulta evidentissima.
Mentre con il malato di cancro nella fase terminale abbiamo un peggioramento sensibile e visibile, nel caso di ...[continua]

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