La memoria della guerra d’Algeria resta in un limbo, a metà tra i ricordi personali e quelli pubblici.
è molto difficile scrivere la storia della Guerra d’Algeria. Non dimentichiamo che il nazionalismo francese si fonda sul suo esercito; discorso che vale anche per l’Algeria, così come per tutti i paesi. Quindi è molto difficile parlarne liberamente. Ciononostante devo riconoscere che in Francia, molto più che in Algeria, sono stati compiuti degli sforzi meritevoli da parte di alcuni storici in questa direzione. Il primo è stato Pierre Vidal Naquet, seguito da giovani storici francesi come Raphaëlle Branche. I giovani storici sono molto aperti e non fanno concessioni sulla verità o su quello che ritengono essere la verità.
Inoltre c’è una grossa corrente storiografica in Francia che non tratta più questa come una storia coloniale. Sono usciti, per quanto possibile, dallo schema della colonizzazione.
In Algeria, invece, quell’evento vive quasi esclusivamente nelle memorie individuali e di gruppo: la memoria nazionale è ancora in qualche modo trattenuta, non espressa. Ogni governante ha riscritto quella storia a modo suo, dando voce più al suo itinerario personale che a quello del Paese.
Il fatto è che i primi che hanno pensato e ripensato la storia dell’Algeria sono stati i religiosi. E quindi siamo stati presi in ostaggio. Ma non possiamo rimproverare loro questa cosa: bisogna prenderne coscienza per poter passare oltre. Perché all’epoca una buona parte dell’élite era affascinata dalla colonizzazione. Anzi non dalla colonizzazione, ma dall’uguaglianza con il francese, dalla modernizzazione. Insomma, non erano sedotti dalla Francia coloniale, ma da quello che la Francia offriva in patria.
Negli anni Novanta l’Algeria ha perseguito una forte politica di arabizzazione, dagli esiti controversi tra l’altro. Lei cosa ne pensa?
è un fenomeno che viene da lontano. Già durante tutta la resistenza, i movimenti per la Liberazione incoraggiavano la popolazione a riappropriarsi della propria cultura e della propria lingua.
All’indomani dell’Indipendenza, quello che queste persone non hanno voluto vedere è che la cultura di cui erano gli eredi era molto arretrata. Non si sono mai posti seriamente la domanda: "Perché siamo stati colonizzati?”. Hanno continuato a idealizzare il loro Paese, imputando tutti i fattori negativi alla colonizzazione. Soprattutto non hanno voluto assumersi la responsabilità di risolvere il problema del "fazionalismo”, della tendenza cioè a creare delle fazioni politiche, ma anche del clientelismo e della corruzione.
Ora, è innegabile che la colonizzazione abbia prodotto dei gravi danni: ciononostante si tratta di un fenomeno ambivalente. Era a partire da questa consapevolezza che l’Algeria avrebbe avuto una possibilità di rinascita. Ecco perché questa incapacità a vedere le cose sotto l’aspetto dell’ambiguità -perché la storia non è mai semplice ma, al contrario, è sempre molto complessa- ha fatto sì che l’Algeria, da un certo punto di vista, facesse un passo indietro, sottomettendosi all’antico giogo.
D’altro canto, come dicevo, la colonizzazione effettivamente ha avuto un impatto negativo. L’Algeria era un Paese estremamente aperto. La Francia, in qualche modo, ha annullato la portata innovatrice presente nell’intellighenzia durante la guerra di Liberazione, portando alla distruzione di ciò che aveva costruito. Le élite politiche e sociali sono infatti finite nelle prigioni e nell’immigrazione.
Di conseguenza si è costituita una nuova élite, con un diverso retroterra culturale, affine più agli ambienti rurali che a quelli urbani. Questo ha avuto un peso enorme sugli sviluppi futuri del Paese. D’altronde non siamo certo il solo Paese ad aver conosciuto questo fenomeno: lo stesso è accaduto in tutti i Paesi africani, nell’ex Unione Sovietica...
Con l’arabizzazione l’Algeria ha cercato di ricostituire, in condizioni e contesti diversi, con molto sincretismo, il vecchio mondo.
Secondo lei invece gli algerini avrebbero dovuto più saggiamente f ...[continua]
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