Henryane de Chaponay 88 anni, ha partecipato alla Carovana del Libro organizzata da Jamila Hassoune, nell’aprile 2012, portando la sua testimonianza ai giovani studenti del Liceo di Akka e raccontando la sua partecipazione attiva alla costruzione del nuovo Marocco dopo l’indipendenza. Oggi vive a Parigi.

Qual è stata la tua formazione?
Io ho una lunga vita, che cercherò di sintetizzare. Parto anche dalla storia della mia famiglia: da parte di mia madre, principessa d’Orléans, si risale alla famiglia reale francese con Luigi Filippo, re dal 1830, che è stato tra quelli che hanno combattuto per la conquista dell’Algeria, mia nonna era sorella del re Alberto del Belgio, che ha annesso il Congo, quindi tra i miei antenati ci sono state persone che hanno partecipato alla conquista coloniale.
Nel 1920 i miei nonni hanno fatto un viaggio in tutto il Maghreb, con mia madre che all’epoca aveva 19 anni: la nonna ha raccontato per iscritto il resoconto del viaggio e lo ha anche illustrato con dei disegni, è un libro che conservo ancora .
Sono nata nel 1924 nel sud della Francia. Sono stata molto fortunata perché non sono stata cresciuta esclusivamente all’interno di una classe privilegiata come la mia perché ho trascorso gran parte della mia infanzia vicino a Lione, in una zona in cui i figli dei contadini erano nostri amici, quindi ho evitato i rischi di segregazione, caratteristici di un certo ambito sociale.
Sono stata anche sicuramente influenzata dai miei genitori. Mia madre era particolarmente aperta e sensibile ai problemi sociali, mio padre, avendo partecipato alla guerra del ’14, era rimasto molto scosso dalla violenza a cui aveva assistito. Personalmente mi sono formata molto attraverso gli incontri che ho avuto l’occasione di vivere.
Come sei approdata in Marocco?
Quando i tedeschi hanno cominciato ad occupare Parigi, nelle cui vicinanze abitavamo, siamo partiti con mio fratello e i miei genitori e, attraversando la Spagna, siamo arrivati a Tangeri, che, in quel periodo era una città internazionale. Lì ho preso, insieme con mio fratello, un brevetto di pilota prima ancora di prendere la patente. Ma, poiché i nostri genitori volevano che continuassimo i nostri studi, mi hanno mandato negli Stati Uniti, ospite di una sorella della mamma. Mio fratello invece ha continuato i suoi studi a Montréal. Io sono andata in un collegio con una borsa di studio per due anni nei dintorni di New York. Non avevo ancora vent’anni. Erano studi di tipo letterario, nel corso dei quali ho imparato anche lo spagnolo. Ero molto indecisa sull’orientamento da prendere: avendo passato la mia infanzia in campagna con i contadini e gli animali, ero attratta da studi di agronomia, ma anche molto interessata al giornalismo. Alla fine non ho scelto nessuno di questi sbocchi. Dopo lo sbarco degli americani nel ’43, sono invece tornata dai miei genitori in Marocco. Dopo la scomparsa di mio fratello, disperso in un’azione militare nel Golfo del Messico, avrei voluto essere "infermiera volante”.
In quel periodo invece sono stata interprete e insegnante di inglese per i giovani fuggiti dalla Francia occupata che volevano partire come piloti per l’Inghilterra o gli Stati Uniti. Siccome parlavo bene l’inglese, ho insegnato nelle basi di Casablanca e Rabat dove stazionavano le "fortezze volanti”. Per prepararmi all’insegnamento dell’inglese ai giovani aviatori, ero stata ad Algeri, dove c’era il governo provvisorio di De Gaulle, per imparare bene la terminologia tecnica dell’aviazione.
Dopo questa esperienza ho aiutato mio padre, che aveva acquistato una piccola proprietà vicino a Salé, a sviluppare un po’ di attività agricola e di allevamento di animali.
Con i miei genitori abbiamo coltivato un forte interesse per le questioni politiche e sociali, e abbiamo iniziato ad incontrare dei nazionalisti marocchini e a far capire, in Francia, l’importanza che il Marocco ritrovasse la sua indipendenza: si trattava infatti di contrastare la tendenza francese a considerare il Marocco come una colonia mentre si trattava di un protettorato.
Con i miei genitori abbiamo lavorato in stretto contatto con la società civile. Mia madre in particolare aveva contattato François Mauriac, spiegandogli cosa stava succedendo in Marocco. Mauriac, sulla base di queste informazioni, aveva scritto un articolo su Le Figaro, che non era affatto piaciuto al direttore, ma che era stato pubblicato lo stesso, data l’autorità dell’autore.
Ero anche amica di ...[continua]

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