Anna Brambilla, 39 anni, avvocato, membro dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi), da tempo è impegnata a fianco dei richiedenti asilo.

Da tempo ti occupi di richiedenti asilo, dal punto di vista della tutela legale. Puoi raccontare?
L’avvocato che si occupa di richiedenti asilo, e di migranti in generale, si trova a dover acquisire anche delle competenze non strettamente giuridiche. Le persone che chiedono asilo, per esempio, a un certo punto del loro percorso, devono affrontare un’intervista, un’audizione davanti a una Commissione; ecco allora che il ruolo dell’avvocato è anche quello di ascoltare la persona cercando di far emergere il suo vissuto e in particolare le circostanze che possono avere una maggior rilevanza davanti alla Commissione. In una fase successiva, in caso di diniego della domanda di protezione, può capitare di fare un ricorso. Anche questo presuppone che tu conosca il contesto di origine della persona e quindi le vicende che l’hanno visto protagonista. Questo è un po’ il mio lavoro di avvocato.
All’interno dell’Asgi, l’associazione degli studi giuridici sull’immigrazione, che vede coinvolti avvocati, come pure ricercatori, accademici e operatori, svogliamo anche attività di advocacy, quindi di pressione per la modifica delle normative, piuttosto che delle politiche sia a livello nazionale che a livello europeo. Accanto all’attività di avvocato in senso tradizionale, personalmente svolgo attività di ricerca più o meno attiva e di formazione.
Ti sei occupata anche della formazione degli operatori dei centri di accoglienza. Qual è la situazione?
La formazione è un’attività molto interessante perché, da un lato, ti consente di trasmettere conoscenze e, dall’altro, di conoscere i soggetti impegnati sul campo. Per me l’esperienza più istruttiva è stata la formazione degli operatori impegnati nel sistema di protezione per i richiedenti asilo e i rifugiati, il cosiddetto Sprar, istituito da Ministero degli interni e Anci.
Lo scorso anno le strutture facenti parte di questo sistema, attraverso un bando, sono aumentate considerevolmente, portando il numero dei posti di accoglienza da 3.000 a 30.000. Abbiamo fatto formazione in otto città diverse, Milano, Bologna, Roma, Catania, Palermo, Bari, Lamezia Terme e Pisa. Fino a cinque, sei anni fa il numero dei richiedenti asilo era estremamente ridotto. Con l’aumentare degli arrivi e dei posti in accoglienza, la diversificazione delle strutture e delle condizioni delle persone, il lievitare dei costi, è successo che oggi a fare l’operatore non siano più solo il professionista o l’idealista, ma sempre più spesso delle persone che, almeno in apparenza, considerano questo un lavoro come un altro. È proprio cambiata la figura dell’operatore del centro di accoglienza.
Il fatto è che il primo contatto, la prima accoglienza che viene offerta alle persone, non solo a livello di struttura, ma anche di rapporti umani, è fondamentale e incide in modo fortissimo sul percorso futuro, forse più ancora della consulenza legale adeguata, perché è l’operatore che costruisce -se ci riesce- un vero rapporto di fiducia con il richiedente asilo, perché lo vede tutti giorni; ed è sempre l’operatore che riesce a riequilibrare un rapporto che nasce in modo del tutto non paritario.
Queste sono riflessioni che stanno molto a cuore alle persone che si occupano a vario titolo di immigrati e richiedenti asilo. A Roma, dall’inverno scorso, è nata una rete di lavoratori dell’accoglienza che si trovano mensilmente per confrontarsi su queste tematiche, ma anche sulle loro condizioni di lavoro.
Dicevi che non tutte le strutture sono in grado di fornire l’accoglienza richiesta.
C’è il problema del sovraffollamento, che riguarda soprattutto i Cara. Ma c’è un fenomeno più perverso, che ha a che fare con il meccanismo che si crea anche nei centri in cui le condizioni di accoglienza sono buone, quelli in cui ci sono una consulenza legale, l’alfabetizzazione, degli orientamenti e, tuttavia, prendono il sopravvento logiche di profitto. Non parlo qui di sfruttamento, ma delle normali logiche di profitto di una realtà imprenditoriale. Ecco, se in una cooperativa che prima aveva anche altre attività, la gestione dei migranti diventa la fonte principale di guadagno, quel limite che tu non dovresti superare è invece molto facilmente superabile. E il limite non riguarda, per esempio, solo il numero di pers ...[continua]

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