Marina Lalatta Costerbosa insegna Filosofia del diritto presso l’Università di Bologna ed è componente del Comitato di Bioetica dello stesso Ateneo. Recentemente ha pubblicato Il silenzio della tortura. Contro un crimine estremo e Orgoglio e genocidio. L’etica dello sterminio nella Germania nazista, ambedue pubblicati da DeriveApprodi nel 2016. Il libro da cui muove l’intervista è La democrazia assediata, edito da DeriveApprodi nel 2014.

La sua riflessione si incentra su un’idea forte di democrazia, cioè la intende come un ideale normativo, come un dover essere, ma tale concezione non è una superfetazione rispetto alle dinamiche della politica, riguardo alle quali, invece, la democrazia si porrebbe essenzialmente come metodo?
Le domande da cui parto nell’analizzare la democrazia sono, tutto sommato, abbastanza tradizionali: com’è il potere in una società democratica? Come e da chi viene esercitato? In linea di massima, in una democrazia il potere dovrebbe essere esercitato da tutti, essenzialmente attraverso la rappresentanza politica e il principio di maggioranza. Questi due elementi, uno di metodo -e quindi, alla fine, di forma- e l’altro di quantità, non esauriscono però la questione democratica, ne sono certamente un elemento costitutivo, quindi una condizione necessaria, tuttavia non sono una condizione sufficiente per definire l’ideale della democrazia. D’altra parte è proprio questo ideale che viene sempre chiamato a legittimare le democrazie esistenti ed è per questo che ho affrontato in particolare autori come Cornelius Castoriadis e Jurgen Habermas, che in modo più diretto difendono appunto la democrazia come ideale, facendola coincidere, spesso in modo molto esplicito e, anche se sembra una cosa molto strana, con la politica e con la filosofia. Sono autori che mostrano un altro piano del discorso democratico, un discorso in cui, essendoci bisogno di strumenti, si mostra che il principio di maggioranza, la rappresentanza, possono servire alla democrazia, ma possono anche ritorcersi contro di essa, perché vanno sempre contestualizzati ed è appunto nella contestualizzazione che viene in luce come essi, di per sé, non esibiscano l’essenza della democrazia, che appunto non è nei suoi strumenti. Per questo metto anche in luce che, attualmente, la democrazia soffre del pericolo del riduzionismo. Questo, a sua volta, ha almeno due accezioni. La prima consiste nel definire la democrazia appiattendola essenzialmente sull’esercizio del principio di maggioranza. È il riduzionismo dei riduzionismi, quello più pericoloso. L’altro è quello che non mette in discussione il modello democratico da un punto di vista giuridico, costituzionale, dei principi fondativi, mentre lo mette in discussione nella realtà dei fatti, andando nella direzione contraria alla realizzazione o alla implementazione e promozione di quegli stessi principi. Nella situazione attuale delle democrazie, anche in Italia, ci sono diversi elementi che vanno in questa direzione, la quale, a sua volta, finisce per andare nel senso della democrazia intesa come mero esercizio del principio di maggioranza.
Ma perché dovrebbe esserci un’essenza della democrazia diversa da quella che le democrazie stesse sono?
È una questione che rimanda a un terreno più generale, persino antropologico. Perché, posto che le persone vivono insieme, non è possibile non chiedersi come possano stare insieme, cioè il senso della stessa convivenza umana. È una questione eminentemente filosofica, che va al cuore di tutta questa riflessione che cerco di svolgere, approcciando essenzialmente Aristotele, Hannah Arendt e Castoriadis, che riprende temi di ambedue e li radicalizza.
In tutti questi autori non c’è una rappresentazione astratta e universalistica dell’individuo, mentre c’è la sottolineatura che l’essere umano è sempre in un contesto, che l’essere umano è un essere relazionale. Certo, anche per loro la dimensione dell’universale è centrale, ma sempre a partire dalla situazione concreta e vedendolo come sviluppo e mutamento di detta situazione. Per questo Arendt e Castoriadis hanno sempre presente la dimensione storica e reale delle questioni: il loro è uno sguardo dal basso, a partire da come la gente vive. Sempre per questo la loro concezione dell’individuo sottolinea come egli sia certo individuo, singolo, ma un singolo che è costitutivamente, essenzialmente, fatto per stare insieme agli altri. Se è così, però, il chiedersi come si possa vivere i ...[continua]

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