Nadia Urbinati insegna Teoria politica alla Columbia University di New York. Collabora a varie riviste di teoria e filosofia politica. Recentemente, con David Ragazzoni, ha pubblicato La vera Seconda Repubblica, Raffaello Cortina, 2016.

Tu hai studiato a lungo il pensiero di Stuart Mill e volevamo capire cosa Mill pensava del socialismo.
Bisogna partire dalla sua idea di libertà, il centro del suo pensiero. Qual è la società che meglio ospita, che è più ospitale, per questo individuo che aspira a essere autonomo nelle sue scelte, che non sia infantilizzato da coloro che, magari, dicono di volere il suo bene? Partire da qui serve a capire quanto sia coerente, pur non essendo Mill un sistematico come Marx o come Bentham, la sua visione di società, dalla sfera individuale a quella collettiva, dalla sfera sociale a quella politica. Mill è un pensatore ottocentesco e pensa, al pari di Hegel, per esempio, che la modernità sia caratterizzata da una rottura dell’ordine armonioso perfetto degli antichi, dell’unità etica della città antica, dove religione, politica, economia e visione della vita erano un tutt’uno, incrinatosi il quale (con l’affermazione della sovranità della coscienza individuale, cioè con Socrate) anche l’unità di morale soggettiva ed etica decade. Quando incomincia la tensione tra l’individuo e l’ordine sociale o la tradizione comincia la nascita della società moderna; una società molto diversa, come Mill scrive in una bellissima nota del suo diario: non abbiamo più le costruzioni perfette che ammiriamo dell’antica Grecia, che andiamo a visitare nella Magna Grecia o a Roma, armoniose nelle proporzioni e che sembrano trovare un’armonia anche con la natura circostante. Abbiamo invece le guglie delle cattedrali gotiche, che svettano e tendono al cielo, non tutte eguali e che sembrano volere trascendere la natura; abbiamo un sistema che non ha più l’idea della perfezione omogenea, ordinata, e nonostante il grande Goethe (molto ammirato da Mill) cerchi di trovare una nuova perfezione nel nuovo mondo, questo ci sfugge sempre, resiste a qualsiasi imposizione di strutture sferiche, perfette, perché è un mondo fatto di individui, che non stanno più dentro a sistemi circoscritti e chiusi, che hanno il mondo davanti; qui, del resto, tutti i sistemi di comunicazione sono cambiati, e uscire dalla propria città, andare e venire senza sosta, è indice di un’insoddisfazione che non consente armonia, unione armonica col mondo. Allora, in un mondo fatto di individui si tratta di capire com’è possibile avere una società a loro dimensione.
Quindi la società che ha di fronte, che pure, per diversi aspetti, ha liberato l’individuo, non è l’ideale per lui…
No, per lui quest’ordine, nel mondo in cui viviamo, è transitorio.
Non pensa che la società capitalistica sia l’ordine. È una transizione, un momento di trapasso proprio per il massimo di tensione e disordine che crea; in questo, Mill non è distante da Marx. Secondo lui la società capitalistica non è l’ultima e più alta concezione della società, perché non riesce a rendere al meglio questo principio di libertà, di autonomia dell’individuo.
Certo, parte bene, con l’economia liberale, il libero mercato, con l’idea che tutti in teoria hanno le possibilità, con l’emancipazione del lavoro schiavo trasformato in salariato via contratto, con la dissociazione cioè dell’individuo lavoratore dalla vita del suo padrone; il contratto rende il lavoratore libero di fronte al padrone; anche se nei fatti il rapporto di forza tra i due è così sbilanciato materialmente da costringere il lavoratore a organizzarsi con gli altri lavoratori se vuole ottenere una certa giustizia nei contratti, perché, da solo, come individuo, non ce la farebbe mai. Quella operaia per Mill non è dunque una situazione ideale, perché la necessità di organizzarsi in sindacato limita la libertà agli stessi lavoratori. Eppure non si può fare diversamente; si tratta di una situazione hobbesiana, in cui non si può prescindere dai rapporti di forza per poter ottenere qualcosa; si tratta di una situazione che assomiglia a una permanente emergenza, uno stato di guerra, uno stato di natura che falsa i rapporti. Questo dimostra che il capitalismo nega quello che lui stesso ha promesso. In questo Mill è molto simile a Marx: il capitalismo partendo dall’individuo libero di scegliere e che investe su se stesso, che rischia, finisce per negare questa condizione di libertà, sia ...[continua]

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