Nel novembre del 2017, Parlamento europeo, Commissione e Consiglio hanno ratificato il cosiddetto “Pilastro sociale europeo”, in cui l’Unione si impegna a garantire a tutti i cittadini europei uguaglianza di opportunità, condizioni di lavoro eque, protezione sociale e inclusione; un documento ambizioso che al contempo pone delle questioni cruciali: quale sarà il modello sociale europeo? Quale il tipo di federalismo, quali le risorse? Intervista a Giuseppe Bronzini.
Giuseppe Bronzini, presidente della sezione lavoro della Corte di cassazione, è nel Comitato dei garanti della Fondazione Basso e tra i fondatori dell’Associazione Basic income network Italia (www.bin-italia.org). Recentemente ha pubblicato Il diritto a un reddito di base. Il welfare nell’era dell’innovazione, edizioni Gruppo Abele 2017.
Con la Fondazione Basso ha pubblicato l’ebook Verso un pilastro sociale europeo (www.fondazionebasso.it).
Che cos’è il Pilastro sociale europeo?
Tecnicamente con "pilastro sociale” europeo si indica il titolo di una comunicazione del giugno 2017 della Commissione europea. Tale azione, preceduta da un ampio dibattito, andava a rispondere a una promessa ufficiale fatta da Juncker nel discorso sullo Stato dell’Unione del 2014, che in qualche modo suggellava una svolta da parte della Commissione europea. Con la fine della maggioranza di destra o di centro-destra, presieduta da Barroso, la commissione di Juncker aveva infatti una maggioranza di socialdemocratici e popolari. Insomma, Juncker nel 2014 voleva dare il segnale di una Commissione meno rigida sul tema dell’austerity e fornire qualche indicazione per il rilancio di un modello sociale europeo.
Il testo ha il valore formale della raccomandazione. Il valore giuridico di una raccomandazione è da sempre incerto e problematico, indubbiamente però in quell’occasione è stato mandato un messaggio non puramente indicativo, di forte indirizzo, non dico vincolante, ma che impegna gli organi europei e in qualche modo anche gli stati.
Questa comunicazione è composta da un lungo preambolo che ricostruisce diciamo i vizi e le virtù della costituzione sociale dell’Europa e individua due nodi critici: l’impatto delle nuove tecnologie sui rapporti di lavoro e l’aumento della povertà in Europa, segnatamente negli stati del sud.
Dopo questa lunghissima premessa, la Commissione europea prospetta venti tra diritti e principi che spaziano dal diritto a un’equa retribuzione al diritto all’assistenza sanitaria; dall’apprendimento permanente a una migliore conciliazione tra vita professionale e vita privata alla parità di genere, fino al reddito minimo; garanzie minime che tutti gli stati europei devono assicurare e garantire.
La comunicazione relativa al pilastro sociale è stata preceduta, nel gennaio dello stesso anno, da una risoluzione importante, in cui per la prima volta il Parlamento europeo si era espresso a chiare lettere su una serie di temi. In particolare si era invitata l’Unione ad approntare delle tutele esigenti, efficaci e inclusive soprattutto in materia di digital economy e di accesso alle prestazioni sociali.
Il guaio della gig economy è che si stanno diffondendo delle figure, penso al fenomeno dei riders e dei lavoratori delle piattaforme, oggi al centro dell’attenzione dei giuslavoristi e dei sindacati dei lavoratori, costretti a condizioni di lavoro premoderne. Queste inedite modalità di prestazione infatti non prevedono contributi né come lavoratori dipendenti (e questo si potrebbe anche capire), ma neanche come lavoratori autonomi; in certi casi questi lavoratori sfuggono completamente al nucleo protettivo del welfare, non hanno alcun tipo di tutela pensionistica o assistenziale.
Da lì si è aperto un ciclo di consultazioni e negoziazioni che ha poi portato il Consiglio europeo di Göteborg del novembre del 2017 a recepire la raccomandazione sul pilastro sociale europeo in una Joint declaration, cioè una dichiarazione solenne dei tre Presidenti del Consiglio, del Parlamento europeo e della stessa Commissione
Qual è il contenuto del Pilastro?
Come dicevo, sul piano generale, nel documento si afferma con una certa solennità che non vi può essere un rilancio del "progetto europeo” senza rimettere mano al capitolo sociale dell’Unione. Ai cittadini europei devono essere offerte tutele idonee in ordine a diritti fondamentali di natura lavoristica e welfaristica.
Il pilastro si svolge su tre articolazioni: uguaglianza di opportunità e accesso al mercato del lavoro; condizioni di lavoro eque; protezione sociale e inclusione.
Si tratta di affermazioni molto generali, razionali e comprensibili che tendono soprattutto ad allargare le maglie della protezione sociale ai nuovi lavori.
Alcune di queste garanzie sono già previste dalla Carta dei diritti fondamentali, la Carta di Nizza. Ad esempio, il principio e diritto relativo a un reddito minimo garantito era già menzionato, an
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