Margaret Rustin, psicoterapeuta per bambini, adolescenti e famiglie, dal 1985 al 2007 ha diretto la Psicoterapia infantile alla clinica Tavistock di Londra. Attualmente in pensione, segue la supervisione dei tirocinanti e prosegue la pratica privata; è membro della British Psychoanalytical Society. Tra le sue opere (con Michael Rustin) Narratives of Love and Loss: Studies in Modern Children’s Literature; e Reading Klein, an introduction to the work of Melanie Klein. Ha inoltre curato Closely Observed Infants; Assessment and Child Psychotherapy; Psychotic States in Children.

Hai trascorso gran parte della tua vita lavorativa alla clinica Tavistock, un’istituzione importante del sistema sanitario inglese.
Già negli anni Venti, la clinica Tavistock era un importante centro di psicoterapia e formazione. Direi che l’interesse per la salute mentale infantile si è sviluppato in particolare nel corso della Seconda guerra mondiale, quando molti bambini erano stati sfollati, allontanati dai genitori, per via dei bombardamenti delle città.
La nascita di un dipartimento specificamente dedicato a bambini e genitori deve molto a John Bowlby che all’epoca, assieme a Donald Winnicott, era molto attivo e impegnato nello studio dell’impatto degli sfollamenti e della separazione dalle famiglie sui più piccoli. In quegli anni si era rafforzata la consapevolezza che nel corso della ricostruzione post-bellica sarebbe stato necessario formare nuove figure professionali, cioè persone capaci di lavorare con le sofferenze psicologiche dei bambini. Per curare questi disagi infatti non bastava cambiare le condizioni esterne, bisognava intervenire contestualmente nei fattori che incidono sullo sviluppo della personalità e della mente di un bambino.
A questo scopo, Bowlby aveva invitato Esther Bick, una delle allieve di Melanie Klein, per mettere in piedi un sistema di addestramento per la psicoterapia pediatrica. Nel frattempo la clinica, che fino ad allora era stata un’istituzione privata, era entrata a far parte del Servizio sanitario nazionale (Nhs), proprio con l’idea di formare personale che sarebbe stato impiegato dal servizio pubblico nelle sue varie articolazioni.
Contemporaneamente, anche ad Hampstead, nella War Nursery, la clinica diretta da Anna Freud, fondata al suo arrivo a Londra col padre per sfuggire alla Vienna nazista, si maturavano riflessioni analoghe. Entrambe le istituzioni iniziarono così a tenere corsi di formazione per la psicoterapia pediatrica, dando in seguito vita a una nuova organizzazione professionale, l’Associazione degli psicoterapisti pediatrici, che è ancora oggi il nostro ente di accreditamento.
Com’è nato il tuo interesse per la psicoterapia infantile?
Mentre frequentavo l’università, pur studiando filosofia, mi ero interessata di questi temi. A un certo punto, tramite un amico, ero venuta a sapere di un corso di formazione in psicoterapia pediatrica, qualcosa di cui non avevo mai sentito parlare. Se vuoi, il mio incontro con la psicologia è stato del tutto casuale e però ho presto capito che era una disciplina che volevo approfondire. Fin dall’inizio mi era stato suggerito di provare a fare esperienza coi bambini e “poi si vedrà”. Dopo la laurea, avevo insegnato per un paio d’anni filosofia e sociologia; lo facevo part-time, nel resto del tempo lavoravo in una scuola materna, dove incontravo bambini dai cinque ai sette anni che avevano difficoltà a integrarsi in classe.
C’era questo piccolo gruppo che seguivo ogni mattina, con cui facevo cose diverse. Un lavoro che mi aveva subito affascinato, molto più dello studiare e insegnare filosofia. È stato così che ho deciso di cambiare il corso di studi e di frequentare la psicoterapia pediatrica. A quei tempi la formazione durava quattro anni. Oggi dura molto di più: c’è un corso preclinico biennale, a livello di master, e poi un addestramento clinico di quattro anni. Appena finito il corso, mi è stata offerta la possibilità di entrare a far parte dello staff.
In effetti ho lavorato qui tutta la vita, negli ultimi anni sono stata a capo della psicoterapia pediatrica, un’unità che negli anni è andata crescendo.
Considera che i primi anni l’attività era proprio minuscola: prendevamo tre-quattro studenti ogni due anni; oggi ne formiamo circa venti all’anno. Dopo alcune campagne di sensibilizzazione, fortunatamente l’Nhs ha accettato di fornire un sostegno finanziario per chi viene qui a fare la formazione. Ai miei tempi, si pagava una ...[continua]

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