Loïc Blondiaux, professore di Scienze Politiche alla Sorbona, membro della Commissione nazionale dibattito pubblico (Cndp), ed esperto di democrazia deliberativa, ha fatto parte del Comitato di Governance della Convention.

Innanzitutto vorrei chiederle che cosa è la Convention Citoyenne pour le Climat, come la descriverebbe?
È un’assemblea di cittadini, un dispositivo di democrazia deliberativa in cui dei cittadini estratti a sorte, rappresentativi della popolazione, sono chiamati a confrontarsi tra loro, coinvolgendo degli esperti, su una precisa tematica.
Da dove nasce questa iniziativa, e in che contesto politico, sociale si inserisce?
L’iniziativa è nata in un contesto preciso, quello della crisi dei gilet jaunes. In quel contesto, a gennaio 2019, un collettivo di cittadini e ricercatori, che si occupano di questioni legate alla democrazia, hanno redatto una Lettera aperta collettiva al Presidente della Repubblica in cui chiedevano al Governo di uscire dalla crisi ricorrendo a strumenti democratici e proponevano di organizzare una o più “assemblee dei cittadini” su temi diversi: ambiente, fiscalità, istituzioni. Nell’aprile 2019, Macron ha ricevuto due dei firmatari della Lettera aperta (Marion Cotillard, l’attrice, e Cyril Dion). Concluso l’incontro, Macron ha dichiarato che avrebbe portato avanti le loro richieste e ha annunciato che ci sarebbe stata una Convenzione dei Cittadini sul clima (Convention Citoyenne Pour le Climat -Ccc). Si tratta quindi di un’iniziativa presidenziale, che consacra, paradossalmente, il presidenzialismo alla francese e l’onnipotenza del Presidente della Repubblica.
Vorrei chiarire meglio alcuni elementi fondamentali. Da un certo punto di vista, il potere esecutivo ha già fatto ricorso a strumenti di democrazia deliberativa, è il caso per esempio del Grand Débat. Politicamente, il Grand Débat si è rivelato un colpo strategico per Macron, perché ha consentito di far cambiare le modalità di espressione della protesta dei cittadini, dirigendole verso approcci più pacifici e controllati, rispetto alle manifestazioni dei gilet jaunes.
Una seconda osservazione: nella società francese, più che in altri paesi, esiste un movimento di critica alle istituzioni rappresentative. Questa critica si è rafforzata negli ultimi anni: tutte le ultime manifestazioni hanno sollevato una questione democratica, cioè il carattere sempre più inefficace e illegittimo della democrazia rappresentativa.
Infine, in Francia esiste un gruppo di ricercatori e osservatori, di cui faccio parte, che lavora da anni su esperienze di questo tipo -per esempio le due Assemblee Cittadine irlandesi che hanno portato a dei referendum- e riflette su questo concetto della democrazia deliberativa, una questione ben presente nella riflessione politica a livello internazionale, ma che nel nostro paese non ha avuto molto successo.
L’insieme di questi diversi elementi ha fatto sì che la Convention fosse una specie di mostro politico, un ibrido: è stata formulata e proposta dal basso, ma ha incontrato l’interesse di un potere politico che aveva bisogno di rilegittimarsi in particolare su due tematiche critiche, ambiente e democrazia.
Rispetto alle Assemblee dei cittadini, anche a livello internazionale, la Convention ha degli aspetti innovativi importanti. Ce li può raccontare?
Fino a oggi l’esperienza francese non aveva dato luogo a iniziative ambiziose a livello nazionale. Il Grand Débat è stato un esercizio politico un po’ mal organizzato e un po’ tendenzioso e dunque non può essere considerato un punto di riferimento utile. Le precedenti esperienze francesi di Giurie e Conferenze dei cittadini sono ormai un po’ datate e non hanno avuto una vera influenza o visibilità politica. La Legge francese prevede, da qualche anno, l’obbligo di organizzare regolarmente delle Conferenze dei cittadini nell’ambito bio-etico, ed è compito del Consiglio Nazionale Consultivo Bioetico gestirle, ma la loro influenza è limitata. L’originalità della Ccc è dunque determinata da tre elementi: la scala nazionale, l’impegno preciso del Presidente della Repubblica di trasmettere i risultati tali e quali al parlamento o al referendum e, infine, la grande disponibilità di mezzi finanziari investiti per organizzare la Convention. Quindi, una grande visibilità politica e una grande sfida politica.
L’altro elemento che mi sembra interessante è che abbiamo visto in questi anni che non pochi dispositivi consultivi o partecipativi son ...[continua]

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