Volevo chiederti prima di tutto della vostra storia, perché mi sembra significativa.
Sì, significativa nella sua semplicità, diciamo rivoluzionaria. “Refugees welcome” nasce nell’agosto del 2014 in Germania, a Berlino, in corrispondenza di una delle tante ondate migratorie, uno dei momenti in cui l’Europa all’improvviso si rende conto delle crisi che travagliano tanti posti del mondo. In particolare, quell’estate, arrivano tantissimi siriani.
Mentre i governi europei e la Commissione Ue si chiedevano come gestire questi arrivi, questi milioni di persone in fuga dalla guerra e chi se ne potesse o se ne dovesse occupare, la società civile ha risposto subito in un modo molto spontaneo, ma molto forte. Tantissime persone sono andate ai treni, alle stazioni, ai porti ad accogliere queste persone. Quell’estate tre giovani ragazzi di Berlino si sono posti una domanda semplice: ma per quale motivo i rifugiati devono vivere in grandi centri impersonali, perché non possiamo dividere con loro le nostre case? Allora decidono di lanciare un sito, che appunto chiamano “Refugees welcome” dove c’è un doppio questionario. Uno è rivolto ai cittadini: “Hai una stanza libera, ti andrebbe di ospitare per un certo tempo un rifugiato?”, e uno ai rifugiati: “Vorresti essere ospitato, vorresti condividere per un po’ di tempo la casa con una famiglia o una persona tedesca che ti ospita?”.
La cosa, da Berlino, nell’arco di un anno si diffonde in tantissimi paesi europei, tra cui l’Italia, perché nell’estate del 2015 diverse persone, una ventina, tra cui anch’io, dopo aver letto gli articoli che parlavano di questa esperienza e aver visto questo sito molto semplice, abbiamo scritto a questi ragazzi tedeschi dicendo che avremmo voluto fare la stessa cosa in Italia. Ognuno di noi ha avuto questa spinta indipendentemente l’uno dall’altro e i ragazzi tedeschi hanno quindi creato una sorta di mailing list di persone italiane interessate. Poi ci siamo iscritti, ci siamo incontrati, loro ci hanno spiegato il funzionamento del sito e poi ci hanno detto: “Adesso ognuno di voi può fare quello che crede”. Quindi “Refugees welcome” è una risposta assolutamente spontanea della società civile, straordinaria nella sua semplicità perché bypassa completamente anche tutto il mondo del terzo settore attivo sull’accoglienza, perché si muove con l’idea che l’accoglienza delle persone rifugiate, la loro inclusione, possa essere fatta direttamente dai cittadini che abbiano voglia di conoscere queste persone rifugiate e la loro storia e di condividere con loro la propria casa e un proprio tempo di vita. È un modo, questo, anche di oltrepassare completamente quella che è la narrazione dominante dove lo straniero è una minaccia, un problema da risolvere, dove coloro che arrivano sono poveri, sono disperati, forse anche violenti. Andiamo dall’immaginario della disperazione della persona povera, che non si emanciperà mai, alla persona con un’altra cultura che non rispetta i nostri principi e le nostre regole. Rispetto a questa narrazione e a questa contrapposizione noi ci collochiamo invece in una visione completamente diversa del fenomeno migratorio. Partiamo dall’idea che i cittadini siano curiosi, siano solidali, siano aperti e abbiano voglia di fare qualcosa di diverso.
L’associazione “Refugees welcome Italia” viene fondata nel dicembre del 2015 con una forma associativa molto semplice: facciamo uno statuto, lanciamo questa “chiamata”, quindi mettiamo tutto sul sito, facciamo una conferenza stampa a Milano e in pochi giorni rispondono centinaia di persone da tantissime città d’Italia. Questo ci incoraggia molto, anche perché la chiamata che facciamo è triplice, chiediamo a dei cittadini di diventare attivisti volontari e di creare un gruppo territoriale. Infatti, pensiamo che per creare queste esperienze di coabitazione serva qualcuno che le guidi, che le accompagni e quindi la nostra chiamata è: “Vuoi diventare un attivista, vuoi creare un gruppo territoriale?”, oppure: “Vuoi accogliere in casa una persona rifugiata e poi, se il rifugiato è accolto, vorresti essere assistito per facilitare il percorso?”. Infine, la chiamata al rifugiato.
In effetti, nell’arco di poco tempo abbiamo ricevuto iscrizioni sia come attivisti, sia come famiglie accoglienti e sia come persone rifugiate, che si iscrivono tramite gli operatori sociali del territorio, persone che lavorano nei centri di iden ...[continua]
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