Da tempo ragioni sui cambiamenti in atto nel mondo del lavoro, in particolare per le donne. Puoi raccontare?
L’impressione è che stia cambiando, non tanto e solo il lavoro, ma il rapporto tra il lavoro e la vita e che per certi versi siamo arrivati al dunque. Di queste dinamiche mi occupo dalla fine degli anni Ottanta. All’epoca queste riflessioni non avevano la vera dignità di una tematica universale. Nel frattempo però è successo di tutto: le donne che non ce la facevano a reggere col lavoro dipendente, se erano qualificate, si sono messe a fare le lavoratrici autonome; se erano poco qualificate, sono andate a fare il part-time o il lavoro nero. Quello che oggi mi sembra di poter dire, è che dagli anni Novanta in avanti, dal loro ingresso in massa nel mercato del lavoro, le donne hanno rifiutato il fordismo. Certo c’è stato il momento dei grandi numeri nella manifattura, però tendenzialmente le donne hanno rifiutato quel modello, e quella a cui assistiamo oggi è l’onda lunga di quel fenomeno.
Intendiamoci, il taylorismo, il fordismo non finiranno, perché ci sono sempre più attività e compiti che vengono standardizzati, per essere gestiti da macchine e software. L’automazione va avanti secondo paradigmi molto simili a quelli del taylor-fordismo e però ai margini c’è tutto questo mondo trainato dalle donne inconsapevolmente, che se prima era marginale, oggi ha qualcosa da dire, io credo. Insomma, non so fin quanto durerà, però questa pretesa di cambiare quell’equilibrio si sente e non si era mai verificata in queste dimensioni.
In che senso dici che le donne hanno rifiutato il fordismo?
Le donne hanno sempre lavorato: in campagna, a domicilio... Quando sono entrate nelle industrie, sono state costrette a fare il tempo pieno. Questo doppio lavoro, così organizzato, non era sostenibile e quindi molte hanno scelto altre strade. Lo storico basso tasso di occupazione in Italia significa che le donne lavorano in nero, non c’è altra spiegazione. Non è credibile che siano tutte a casa mantenute dai mariti. Oppure c’è il part-time, che spessissimo è nero. O ancora ci sono le freelance, le partita Iva. La maggior parte delle donne si è sempre costruita delle nicchie di questo tipo, magari non per tutta la vita.
Parliamo del part-time, un tempo ambìto e non concesso, oggi spesso coatto. Qual è la situazione?
Oggi c’è tanto part-time involontario, maschile e femminile. Ora, le donne avrebbero sempre voluto avere uno stipendio da tempo pieno, tuttavia dovendo anche occuparsi d’altro potevano fare solo il part-time, per cui rispondere se fosse volontario o involontario è un po’ difficile. Certamente non è che volessero lavorare poco, semplicemente volevano stare sul mercato del lavoro con le forze che avevano.
Come dicevo, l’aspetto che più sta cambiando nell’organizzazione del lavoro, per le imprese, ma anche per le persone, è il rapporto tra questo e il resto della vita. In questo senso parliamo di un cambiamento culturale, antropologico.
Quanto le persone ne siano consapevoli e lo desiderino è da capire, però questa è una roba che si vede. E le imprese non stanno rispondendo in modo adeguato secondo me. Con l’incremento del lavoro da remoto, spinto dalla pandemia, all’inizio abbiamo visto molta retorica da parte dei cosiddetti “Hr”, coloro che gestiscono le “risorse umane”, per cui era tutto fantastico, la produttività aumentava, perché il benessere generato da una buona conciliazione porta le persone a essere più motivate, eccetera. Considerazioni anche fondate, ma ammantate di molta retorica appunto.
Il dato che dà da pensare è il comportamento di molte aziende che, dopo essere state obbligate, erano passate con disinvoltura allo smartworking, e oggi stanno tornando indietro semplicemente per non dover ripensare la propria organizzazione.
Nei mesi del lockdown e in quelli a seguire ti sei m ...[continua]
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