Giorgio Ragazzini ha insegnato lettere nella scuola media. Come responsabile dell’aggiornamento ha organizzato seminari, corsi e convegni. Fa parte del Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità. È autore del libro Una scuola esigente (Rubbettino Editore, 2023).

Tentativi di riformare la scuola ne sono stati fatti diversi, con iniziative partite via via sia dal ministero sia da assemblee collettive, dal “basso” (studenti, sindacati, insegnanti…). Ma alcuni nodi di fondo restano irrisolti. Fra il 2015 e il 2016 per provare a cambiare il sistema penitenziario furono indetti gli Stati generali dell’esecuzione penale, che, al di là dei molto parziali risultati conseguiti, ebbero un’ampia partecipazione. Secondo lei quel modello si potrebbe estendere alla scuola? Partendo dall’idea che tutti quelli che frequentano a vario titolo e con diverso ruolo il mondo della scuola hanno non solo diritto ma direi interesse a ragionare dei cambiamenti necessari.
E lo farebbero attraverso delle organizzazioni o anche a titolo individuale?
Anche a titolo individuale.
In effetti via via si è parlato di “Stati generali della scuola”. Mi sembra però che sia molto più complicato replicare l’esperienza fatta per il carcere.
Forse mi sbaglio, ma credo che per la scuola trovare degli obiettivi comuni su cui basare le proposte sia un bel problema. In questo campo è giustissimo auspicare il dialogo, però su un numero limitato di argomenti ben delineati.
Mi interesserebbe in modo particolare rilanciare la proposta che abbiamo fatto come “Gruppo per la scuola del merito e della responsabilità” per una diversa organizzazione delle scuole superiori. Che si baserebbe su corsi delle singole materie invece che sulla successione delle classi. In poche parole, non si passerebbe più alla classe successiva, ma dal primo al secondo corso di italiano, dal primo al secondo di matematica e via dicendo. Si eviterebbe così la bocciatura “in blocco”, con la perdita dell’anno.
Quindi non sarebbe così difficile adottare quel modello, avviare una discussione ampia e il più possibile aperta, ma per quale motivo questo tentativo non è stato fatto? Forse sulla scuola ci sono più resistenze che sul carcere? La scuola è più divisiva?
Sì, secondo me è più divisiva. Ho l’impressione che sul carcere ci sia molta concretezza nel rilevare e trattare i suoi problemi. Nella scuola c’è più astrattezza e anche più “partiti presi”. È un terreno molto complesso. Comprende i programmi, la preparazione degli insegnanti, la sua organizzazione interna e la sua “governance”, come si usa dire. La scuola include tante cose su cui è difficile trovare dei punti di incontro, però penso che, se si dessero delle regole precise su come confrontarsi e si facessero delle domande puntuali, si otterrebbero risultati migliori. Immagino una discussione con una struttura piramidale, partendo da riunioni locali.
Anche gli Stati generali dell’esecuzione penale avevano una struttura del genere. C’era una commissione di esperti, diciotto tavoli di lavoro con un referente ciascuno, e audizioni svolte a ogni tavolo. Tornando alla proposta presentata dal Gruppo di Firenze, riguarda una questione -la bocciatura- su cui si orienta molto dell’agire degli insegnanti. Ma perché la bocciatura fa così paura? E a chi fa più paura, ai ragazzi o agli adulti?
Io non l’ho mai considerata una tragedia. Attualmente direi che fa più paura agli adulti e che i loro giudizi e stati d’animo condizionano negativamente i ragazzi.
Soprattutto è importante la relazione con l’insegnante: se è incoraggiante, sa dare indicazioni, sollecitare impegno e perseveranza e motiva l’insufficienza facendo capire che non è un giudizio sulla personalità dell’allievo ma solo su un’abilità o una conoscenza, la drammaticità sfuma molto. È un fatto, però, che la ripetenza in tutte le materie non è l’ideale.
Anche una maggiore chiarezza su cosa intendiamo quando parliamo di “impegno”. A questo proposito, mi sembra che la libera scelta da parte degli studenti -se impegnarsi o meno - tenda a essere rimossa, o almeno dissimulata dietro qualcos’altro. Mi riferisco ai bisogni educativi speciali, che diventano un calderone in cui finisce anche la volontà individuale, la libera scelta di partecipare al lavoro scolastico oppure no.
Praticamente agli studenti viene spesso tolta la responsabilità, e non a caso il nostro gruppo si chiama così, Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsab ...[continua]

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