In cosa consiste l’ideologia panserbista su cui si fonda il potere di Milosevic?
Dopo la morte di Tito, le difficoltà del sistema politico jugoslavo erano sempre più evidenti. In una situazione di crisi generale del sistema politico, nonché di crisi economica, in Serbia si assistette a una graduale deriva verso il nazionalismo. Quindi ben prima dell’arrivo di Milosevic al potere. Il pretesto, o il catalizzatore, del successo di questa politica nazionalistica in Serbia furono appunto gli eventi nel Kosovo. Nel 1980 infatti vi erano state a Pristina numerose manifestazioni di studenti e operai che avanzavano rivendicazioni politiche, fra cui quella che il Kosovo diventasse una repubblica federale al pari delle altre repubbliche jugoslave, e non più una semplice regione autonoma all’interno della Serbia.
E’ allora che si affermò il tema della minoranza serba nel Kosovo vista come vittima della maggioranza albanese. A partire da quel momento la questione serba verrà posta in tutta la Jugoslavia e condurrà infine al famoso memorandum dell’Accademia delle Scienze di Belgrado, in cui si afferma chiaramente che il popolo serbo nella seconda Jugoslavia, quella di Tito, era stato discriminato all’interno delle diverse repubbliche federali, e così via. Era un discorso, intellettuale e politico, marcato dal risentimento, che ebbe ben presto ragione della debole tendenza democratica che in quello stesso periodo puntava a democratizzare la società e la vita politica in Serbia. Divenuto dominante, il discorso ultranazionalistico serbo assunse via via accenti sempre più radicali.
Aveva un qualche fondamento la tesi del tradimento del popolo serbo nella Jugoslavia di Tito?
Era una tesi del tutto infondata e falsa, perché la Serbia, come la Jugoslavia nel suo insieme, ha conosciuto il suo più grande sviluppo negli anni Sessanta e Settanta, proprio sotto il regime di Tito. La prima Jugoslavia, quella nata nel 1919 e finita nel 1941 con l’invasione delle potenze dell’Asse, era un paese molto arretrato, privo di ogni ruolo politico in Europa. Al contrario, la seconda Jugoslavia era il paese più sviluppato dell’Europa dell’Est dal punto di vista economico e culturale. Era il paese più aperto all’Occidente e poi era importante nello scenario internazionale grazie alla leadership assunta nel movimento dei Paesi non allineati, non facenti cioè capo né a Mosca né a Washington.
In questo senso, colpisce vedere che furono degli intellettuali a sviluppare un simile discorso intriso di risentimento. E gradualmente l’intera Serbia in preda a questo discorso ultranazionalistico si avviò verso la stagnazione economica e la regressione politica e culturale.
E proprio il Kosovo si trovò al centro di questa ideologia panserbista. Dalla nuova classe politica serba, alla fine degli anni Ottanta, venne riattivata tutta una mitologia politica centrata sul Kosovo come terra santa del popolo serbo, come luogo della battaglia contro i turchi.
Il Kosovo venne rappresentato come una terra esclusivamente serba e quell’idea di fraternità fra i popoli jugoslavi venne buttata a mare. Non voglio fare l’apologia del regime di Tito, che era un regime tutt’altro che democratico, ma per lo meno aveva la preoccupazione di coltivare l’eguglianza fra i popoli che costituivano la Jugoslavia, predicava una certa idea di fraternità fra i popoli dalla quale poi, con tutti i difetti possibili immaginabili, derivava la struttura di federazione assunta dalla Jugoslavia in quegli anni. Una struttura che doveva permettere lo sviluppo delle culture particolari e nello stesso tempo mantenere un legame fra tutti i popoli jugoslavi. Invece, alla fine degli anni Ottanta, in Serbia assistiamo a una regressione. Il Kosovo, appunto, viene rappresentato come esclusivamente serbo lungo tutta la sua storia, dimenticando anche ciò che gli storici serbi, almeno quelli più seri, non hanno mai negato: la presenza degli albanesi in Kosovo nel corso dei secoli, anche prima dell’arrivo delle popolazioni b ...[continua]
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