A poche settimane da una scadenza elettorale che giunge dopo due anni di "grande scombussolamento", volevamo interrogarci, anche alla luce della storia recente del nostro paese, sulla situazione attuale, sulle proproste e i modi di essere della sinistra, sugli umori che corrono fra la gente.
Per farlo abbiamo invitato a discuterne Paolo Flores D’Arcais e Vincenzo Bugliani, che sapevamo avere punti di vista diversi.

P.F. Certamente stanno muovendosi umori diversi e con alcuni di essi la sinistra, se rimane fedele a se stessa, non può entrare in dialogo. Dimentichiamo troppo spesso che questo paese ha in maggioranza votato per Andreotti e Craxi e che quella che, troppo precipitosamente e ottimisticamente, è stata definita la “rivoluzione italiana” in realtà non ha visto nessuna partecipazione popolare. Una parte consistente di cittadini italiani si trovava largamente a suo agio in un sistema fatto di rapporti pre-moderni -clientelismo, illegalità diffusa, evasione fiscale spettacolare o, in altre zone, l’altra forma di evasione fiscale rappresentata dal contrabbando-. Naturalmente poi, quando è venuto fuori il marcio di cui Craxi e Andreotti erano responsabili, questa parte non li ha difesi, ma non per questo il paese ha fatto una rivoluzione nei modi di pensare, nei costumi e nelle abitudini, ha solo trovato una bandiera in apparenza moderna e nuova di quel vecchio sistema e questo è parso, a questa parte del paese, un’ancora di salvezza.
Questo è l’aspetto con cui la sinistra non può dialogare. La sinistra deve solo combattere contro questa mentalità e questi interessi che si traducono in tendenze ad un populismo illiberale, a forme soft di peronismo. Naturalmente a queste cose pre-moderne si mescolano spinte e umori in apparenza iper-moderni e, cioè, la stanchezza per quelle garanzie che finivano per essere paralizzanti, che non valorizzavano il rischio e la responsabilità individuale.
E la sinistra ha certamente grandi responsabilità nel non aver saputo cogliere questo tipo di umore, nel non aver saputo assumerli e incentivarli come potenzialità positive. La polemica contro tutto ciò che è “individuo” è certamente uno dei retaggi negativi che la sinistra italiana si è portata dietro e che la spinge, frettolosamente, a passare all’eccesso opposto, a parlare di privatizzazione in ogni caso e quindi a contribuire ad un clima che facilita chi, come Berlusconi, può abusivamente presentarsi come alfiere del privato.
Quindi, più che parlare di umori in generale, è necessario distinguere. In gran parte del paese c’è un intreccio di spinte contraddittorie, alcune delle quali dipendono dal fatto che questo paese non ha avuto né la riforma né la rivoluzione, mentre altre esprimono proprio un bisogno di modernizzazione. Il fatto che la sinistra non abbia saputo dare risposte positive in tempo e ora si affanni per recuperare, con una credibilità parziale e, spesso, con uomini non all’altezza, consente a chi gioca su entrambi gli aspetti di capitalizzare tutti gli umori. Non so se tutto questo sembri campato in aria...
V.B. No, non lo è, ma mi pare che sia un punto di vista, come dire, “nemico della patria”. Cioè un punto di vista denigratorio nei confronti dell’Italia che è antico nella nostra classe dirigente. L’Italia moderna è nata da intellettuali che aspiravano ad essere protestanti, a rappresentare un ideale esterno al paese, e che hanno fatto il paese in realtà odiandolo, disprezzandolo, giudicando i suoi abitanti plebaglia arretrata, primitiva, clientelare, disposta ad andare dietro a chiunque.
Credo che nelle sue parole rieccheggi questa ascendenza, che è nobile intendiamoci, ma che ha imposto al paese un modello astratto, ideale, e lo ha violentato obbligandolo a rincorrere modelli esterni.
Ricordo che una volta, in una intervista, Ferruccio Parri, ormai anziano, disse “gli italiani sono un popolo di cani”. Un padre della patria quale era, ormai vecchio, inacidito, che odiava l’Italia così come era uscita dal dopoguerra, finalmente si sfogava e arrivava a dire quel che pensava da sempre. Implicita in quel disprezzo l’idea che quello che ci voleva per l’Italia era un gruppo di intellettuali illuminati, moderni, europei, non cattolici ma tendenzialmente protestanti.
Certo tutto questo rivela anche una specie di nobiltà severa, una moralità austera, laica, kantiana, che però è estranea al paese. E se lei guarda tutti i grandi della classe dirigente che, dalla fine del ‘700 in poi, h ...[continua]

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