Sembra proprio che una cultura garantista nel nostro paese non abbia più alcuna possibilità di affermarsi. Tu, che da sempre ti batti strenuamente a favore delle garanzie del cittadino, come vedi la situazione?
Viviamo in un paese in cui la cultura garantista, fondamento di ogni concezione dello Stato di diritto, è fortemente minoritaria sia all’interno del ceto politico che nella società civile. Paradossalmente, in alcune fasi storiche, abbiamo avuto un ceto politico che almeno su certi temi della giustizia era più attento e sensibile di quanto non lo fosse la stessa società civile. Ricordiamoci solo che, una quindicina di anni fa, all’epoca del terrorismo, il Msi di Almirante raccolse nelle piazze centinaia di migliaia di firme per la pena di morte, fra le quali quelle di tanti uomini di sinistra. Io rimasi sconvolto quando appresi che uno dei due figli di Matteotti aveva firmato quella petizione del Msi. E ricordo benissimo con quanta spaventosa difficoltà, all’epoca degli “anni di piombo”, fra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, io e pochi altri portavamo avanti una battaglia garantista per cercare di far capire che lo Stato democratico era legittimato, e doveva esserlo, a combattere fino in fondo il terrorismo solo in quanto non avesse abdicato alle garanzie fondamentali proprie di uno stato di diritto.
Un paio di anni dopo, all’inizio del 1982, la battaglia fu contro l’uso della tortura nei confronti dei terroristi. Dopo il fallimento del sequestro Dozier, per alcuni mesi, nei confronti dei terroristi di sinistra furono praticate torture. Personalmente venni a conoscenza dettagliatamente di alcuni episodi, feci interpellanze e interrogazioni parlamentari, provocai dibattiti in Parlamento, ma anche in quel caso ci ritrovammo in pochissimi. Vorrei citare due persone che avevano posizioni convergenti, sia pure da ruoli politici diversi: Stefano Rodotà, che fu uno dei pochi, a sinistra, a schierarsi su quella posizione, e un liberale, Aldo Bozzi, allora presidente del gruppo parlamentare liberale, che firmò anche alcune mie interpellanze sulla questione della tortura.
Questo per me fu fondamentale perché faceva capire che la difesa delle garanzie dello Stato di diritto, anche nei confronti dei più feroci avversari dello Stato di diritto stesso, in quel caso i terroristi, non fosse sintomo di scarsa coerenza nella lotta contro il terrorismo, ma fosse propria di una concezione liberal-democratica dello Stato, dimostrava la natura politico-costituzionale della nostra battaglia.
Perché l’ho presa così alla lontana? Perché a mio parere è allora che inizia la degenerazione del sistema della giustizia nel nostro paese. Non che la giustizia prima funzionasse bene, la giustizia ha sempre funzionato malissimo, ma l’attacco alla concezione delle garanzie nel processo penale cominciò in modo furibondo proprio in quegli anni. Ci fu un aumento spropositato della carcerazione preventiva, che poteva arrivare, nei casi più gravi, fino a undici anni e sei mesi; ci fu un progressivo appiattimento della figura del Giudice Istruttore, che allora esisteva, su quella del Pubblico Ministero, cioè dell’accusa, con forte sbilanciamento a sfavore della difesa; ci fu un degrado del ruolo del Pubblico Ministero appiattito su funzioni di polizia giudiziaria. E cominciò in quegli anni, nella lotta al terrorismo, una sorta di supplenza dei giudici nei confronti del potere politico, una supplenza in parte anche incentivata dagli stessi politici di allora, in parte rivendicata dalla stessa magistratura e dalle forze di polizia, come se il terrorismo fosse puramente un fatto giudiziario, e non anche, come invece si sa bene, un fatto politico, sociale, culturale. Il terrorismo non fu sconfitto solo per ragioni militari e giudiziarie, ma anche per ragioni politiche, sociali e culturali, per l’isolamento in cui si venne a trovare. Fatto è che, sconfitto il terrorismo, la logica dell’emergenza è rimasta e il potere enorme che in quella fase storica una parte dei magistrati, in particolare quelli delle Procure della Repubblica, assunsero, non è stato più rimesso in discussione.
Ma ci tengo a rimarcare che io non dico queste cose oggi, nel dicembre ’95, le dicevo allora.
Chiunque vada a rivedere i discorsi parlamentari, si accorgerà che già allora mettevo in guardia sul fatto che la sospensione delle garanzie, sia pure per combattere il terrorismo, sarebbe tornata come un boomerang contro il sistema politico e ...[continua]

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