Alla discussione hanno partecipato: Raffaele Barbiero, militante non-violento, sindacalista Cisl, a Genova con il Gruppo di affinità di Forlì; Alberto Lambertini, a Genova con il Gruppo di affinità di Forlì; Edi Rabini, consigliere comunale verde di Bolzano, della Fondazione Alexander Langer; Michele Ravagnolo, a Genova con Attac-Bologna; Fabrizio Tonello; per "Una città”: Rosanna Ambrogetti, Gino Bianco, Monica Marino, Franco Melandri, Gianni Saporetti, Massimo Tesei.

Massimo. Pensavamo di non discutere di ciò che ha fatto la polizia a Genova, che è di una gravità assoluta; in questo numero pubblichiamo l’impressionante testimonianza del nostro amico e collaboratore Lorenzo Guadagnucci. Le valutazioni sono premature, vedremo cosa succederà. Oggi vorremmo discutere del "movimento”, delle "giornate di Genova” quindi, e qui ci sono alcuni amici che c’erano e avevano partecipato all’organizzazione della manifestazione, e poi fare anche una prima riflessione sui temi, le caratteristiche del movimento. Se siete d’accordo cominciamo.
Alberto. Inizio da giovedì. Al pomeriggio abbiamo partecipato al corteo dei Migranti e questo è stato un momento molto bello perché l’organizzazione del Genoa Social Forum prevedeva, più o meno, la partecipazione di 10-15.000 persone, invece eravamo circa 50.000 ed è stato un corteo pacifico, bello; poi, invece, nella giornata di venerdì la situazione purtroppo è cambiata: sin dalla mattinata si sentiva che nell’aria c’era qualcosa di particolare. La tensione era già alta fin dalle prime ore del mattino. Noi eravamo attendati nel centro polisportivo, alla Sciorba, nella zona periferica di Genova, e cercando di arrivare verso il centro di Genova, in prossimità della zona rossa, abbiamo scoperto che durante la notte la polizia aveva utilizzato un’enorme quantità di container presenti nel porto per delimitare l’area in cui le tute bianche avrebbero dovuto fare questo corteo non autorizzato, per cercare di avvicinarsi ed invadere la zona rossa. Quindi si respirava già un’atmosfera di tensione.
Nel pomeriggio, poi, eravamo in Piazza Dante, una delle cinque piazze attorno al centro storico di Genova in cui si doveva dar vita al cosiddetto assalto alla zona rossa. La nostra è stata l’unica piazza, rispetto a tutte le altre, in cui, comunque, le cose sono andate abbastanza bene.
Gianni. Io volevo capire le parole d’ordine concrete della manifestazione del venerdì; questo tentativo d’assalto alla zona rossa che cosa prevedeva? E riguardava tutto il Social Forum?
Alberto. Per quel che so, le tute bianche avevano organizzato questo corteo con assalto alla zona rossa in disaccordo con le forze dell’ordine, e in seguito a questo è sorta tutta una serie di problemi... Invece le cinque piazze tematiche contro la zona rossa erano state concordate da parte del Gsf con le forze dell’ordine: venivano distribuiti volantini con la pianta del centro di Genova, con la zona rossa e le varie piazze dove c’erano le associazioni e i partiti che facevano parte del Gsf, i quali avevano la possibilità di esibire e manifestare con una propria modalità questo assalto simbolico alla zona rossa; per esempio, in piazza Dante l’invasione era stata prevista con un lancio di palloncini con la mongolfiera.
Gianni. Quindi, scusa, questo cosiddetto assalto alla zona rossa era una parola d’ordine valida per tutti, però per qualcuno doveva essere solo simbolica mentre per altri lo era un po’ meno? E’ così?
Raffaele. Per le tute bianche non lo era; le tute bianche hanno dichiarato sempre, anche all’ultimo dei tre incontri fatti a Forlì, che, comunque, per loro era importante superare fisicamente la linea rossa, perché simboleggiava non tanto una linea sul terreno, ma la divisione del mondo in ricchi e poveri, fra chi ha il potere e chi non ce l’ha, e superarla significava rompere questo equilibrio. Quindi la parola d’ordine era quella di portare dentro la zona rossa il proprio corpo...
Massimo. Erano seri dicendo queste cose?
Raffaele. Serissimi, convinti che l’obiettivo fosse portare il proprio corpo al di là della linea rossa.
Rosanna. In televisione si è visto un signore che entrava, chiedeva di uscire ed usciva. Era un fatto simbolico.
Michele. Io ero con Attac, parlo di quello che ho vissuto di persona e di altre cose, però limitandomi a quelle che mi hanno detto testimoni diretti di cui mi fido. La prima cosa che ho seguito completamente è stato il giovedì; nel pomeriggio abbiamo fatt ...[continua]

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