Washington, 25 settembre
Carissimi amici:
grazie a tutti coloro che hanno scritto o telefonato, a noi o alle nostre famiglie in Italia, per avere notizie. Stiamo tutti bene. Renato, in barba alle mie paure, è partito ieri per l’Italia: molti di voi lo vedranno a Roma. Alex compie oggi un anno; cammina, parlotta, è indaffarato a fare e disfare e a curiosare come tutti i bimbi della sua età: una meraviglia.
Ricordo che, appena prima che lui nascesse, in Palestina era scoppiata la “Seconda Intifada” e tra di me pensavo: chissà se quando sarà grande questa questione sarà risolta o se, come per la sua mamma, lo seguirà fino all’età adulta e oltre. Ora mi chiedo se questa guerra la studierà sui libri di scuola o se cresceranno insieme.

Intanto sono passate già due settimane. Qual è l’ultima cosa che avete fatto quando le cose avevano un altro senso? Io ho pranzato con uno dei leader francesi di Attac, per discutere delle possibilità di dialogo prima dei meeting annuali del Fondo monetario alla fine di settembre. Ora i meeting non si terranno più, il movimento si sta spaccando sulla risposta da dare agli attacchi, e il dibattito sulla globalizzazione ha assunto tutto un altro significato. Tutto ha un altro significato. Forse è solo questione di tempo prima del ritorno alla normalità; forse invece ha ragione chi dice che nulla sarà davvero più come prima qui negli Stati Uniti.
L’enormità degli eventi visti in diretta TV e l’angoscia per l’incognita che ci sta davanti sono troppo forti per permetterci di pensare ad altro; siamo tornati alle nostre preoccupazioni giornaliere, ma abbiamo tutti un grande peso sul cuore.

Bush ha decretato che il periodo ufficiale di lutto è finito, ma l’America sta ancora seppellendo i suoi morti -o meglio, i ricordi dei morti, visto che di corpi ne hanno trovati così pochi. La vicinanza della morte è palpabile anche per chi, come noi, vive qui da pochi anni. Un caro amico dei nostri vicini John e Joe era il co-pilota dell’American Airlines 77, schiantatosi sul Pentagono. Dave aveva 39 anni, e abitava a pochi passi da casa nostra. Martedì scorso, in una splendida giornata di sole e cielo blu, proprio come l’11 settembre, sono passata per caso di fronte alla chiesa dove si era appena tenuto il suo funerale. Tra centinaia di piloti e hostess c’erano anche i miei vicini. Ci siamo abbracciati; mi sono fatta raccontare di Dave. E’ quello che molti di noi qui vogliono continuare a fare: abbracciarsi, raccontarsi i dettagli di quel martedì, assicurarsi che gli amici dei tuoi amici stiano bene. Ma come ho detto quelli colpiti direttamente sono tanti: il cugino di Kathy, che lavorava al Pentagono due settimane all’anno. Un amico di Kevin, impiegato di Cantor Fitzgerald al World Trade Center. La moglie di un collega di Tom, anche lei sul volo 77. Il marito di una maestra della scuola di Marjorie, morto al Pentagono.
Penso spesso a loro, e a tutti quelli che erano sugli aerei e alla loro scrivania quel martedí mattina. Ci penso perché hanno colpito così bene la società americana che chiunque di noi si è potuto identificare con le vittime. Mio fratello, con la moglie e il loro bambino, aveva preso il volo Boston-Los Angeles UA 175 dieci giorni prima. Il Fondo è a poche centinaia di metri dalla Casa Bianca, e non posso fare a meno di pensare a cosa sarebbe successo a mio figlio, a mio marito e al mondo intero se il volo che si è schiantato in Pennsylvania fosse arrivato a destinazione. Chi di voi conosce l’America sa l’uso e l’abuso, a volte perfino fastidioso, che gli americani fanno del termine “eroe.” Ma in questi giorni continuo a pensare che i passeggeri di quel volo siano stati davvero degli eroi.

Molti di voi sanno che l’11 settembre non ero a Washington; ero a Parigi, pronta a tornare a casa dopo quello che doveva essere un viaggio di cinque giorni in Europa. Sono rimasta bloccata fino al 16 settembre, e ho passato giorni di angoscia con il cuore a pezzi per il mondo e un dolore immenso per essere lontana dal mio bambino. Avevo fatto una gran fatica a lasciarlo e non vedevo l’ora di tornare a casa. E proprio nel momento di massima crisi mi sono trovata lontana. Le prime ore le ho vissute come in trance, seguendo le notizie da Washington senza riuscire a parlare con Renato. Pentagono colpito, Casa Bianca evacuata, una bomba al Dipartimento di Stato, tutti edifici vicinissimi al Fondo monetario, dove Alex va al nido, e alla Banca Mondiale, dove forse era Renato... M ...[continua]

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