Quando Grazia è morta, ero a Dubrovnik,
anzi a Korcula, sulla via del ritorno.
Ero a Dubrovnik quando Grazia stava
morendo. Intitolavano i giornali:
PANICO IN DUBROVNIK BOMBARDATA.
Non era vero. Però i giornalisti
erano andati lì per questo. Del resto,
davvero le vicinanze di Dubrovnik
erano bombardate. La bugia
era una mezza bugia: appena
qualche chilometro a sud o a nord
del vero. I giornalisti si annoiano.
Abbiamo fatto il bagno, visitato
il camminamento delle mura, abbandonato
alle incursioni dei drogati e ai gatti
coi frammenti di statue numerati,
angeli mutilati, bravi cani
dalle orecchie mozzate, serpentelli
sbucati d’improvviso dal fogliame
in marmo bianco antico Mljet,
pronti per il restauro imminente-
da quattro anni e passa. Abbiamo insieme
camminato su e giù per lo Stradone
quasi vuoto, perché anche i ragusani
avevano creduto ai bombardamenti
di cui parlavano i giornali: infatti
la differenza fra mezza bugia e la verità
nel caso delle bombe, è assai sottile.
Mentre Grazia finiva la sua vita
a Milano, in una clinica di suore,
noi guardavamo le ragazze, poche,
alte, bellissime, restate a guardia
dello Stradone, e, così al sicuro,
ascoltavano le notizie, il costo
per metro quadro dei palazzi antichi,
per la svalutazione delle bombe,
la vasca dei delfini nell’acquario
occupata dai profughi di Cavtat,
il gusto dell’aperitivo d’Istria.
“Starò in pensiero tutto il tempo”, Grazia
mi aveva detto il giorno che partivo
al telefono: Grazia era persona
di brusche conversazioni telefoniche,
anzi, di conversazioni perfino tenere
concluse sempre un poco bruscamente.
Sempre, quando ci andate, tu, Gianfranco,
io sto in pensiero. Sapeva, e lo sapevo anch’io
che stava già finendo la sua vita?
Ma non così, di certo, e così presto.
A Milano, poi. Avrei potuto dire
che sono in gran pensiero quando i miei
cari stanno a Milano, e che per lei
avevo il cuore stretto. Che sciocchezza,
avrebbe detto, che battuta scema.
Chissà perché, mi sembrava che Grazia
avesse appena cominciato, appena
la sua vita migliore, il tempo nuovo
più adatto a lei, strana bambina anziana.
Che fosse stata fuori posto, prima,
e intempestiva - già col Sessantotto,
e poi con le sue anagrafi tributarie
e gli eredi fedeli ed infedeli.
Convocati da lei, quando toccò a loro
andare fuori tempo e fuori luogo,
e lei ha appeso al muro la vecchia foto
ha coperto con un panno il televisore
e preparato a tutti il libro adatto,
lo spazzolino, uno specchio indulgente
e le buone maniere, un po’ severe.
Dov’è andata Nora, quando è andata via?
Dov’è andata Grazia, quando tutti gli altri
sono andati via, e lei si è richiusa alle spalle
la porta? Vedete, anche per lei,
stava per cominciare un’altra vita
più bella non si sa, più promettente
certo, al riparo della porta chiusa.
Invece Grazia è morta. Da Dubrovnik
ero andato a Korcula, quel giorno
ho visitato la casa natale
di Marco Polo, ammesso che sia vero.
Sulla torre veneziana sventolava
la bandiera croata, e accanto a lei
un bucato di biancheria strappata.
Profughi dappertutto, ed un gran vento.
Chissà a Milano, in clinica, d’agosto.
Povera Grazia, si dovrebbe almeno
morire quando è l’ora di morire,
nell’isola di Curzola, o in montagna
e le ceneri le disperda il vento.
Adriano Sofri
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